domenica, Aprile 28, 2024
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Maltrattamento fisico, abuso sessuale e violenza assistita sui minori: come interviene Associazione CAF. Intervista a Laura Calabresi e Paola Gobbi.

Nata nel1979 Associazione CAF Onlus si prefigge fin da subito la protezione di minori il cui futuro è messo a serio rischio da condizioni familiari gravissime.
Sono bambini vittime di maltrattamenti fisici, abusi sessuali e violenze assistite.
Dialogo, oggi, con Laura Calabresi-Referente Clinico dei Servizi di Accoglienza e Cura dell’Associazione CAF Onlus- e Paola Gobbi-pedagogista presso le Comunità Residenziali 3-12 anni gestite dall’Associazione.-

Cominciamo con il raccontare l’attività svolta da Associazione CAF.

P. G.
Associazione CAF nasce nel 1979 occupandosi, fin da subito, di minori in gravi situazioni familiari per i quali subentra un Tribunale e un Servizio Sociale che optano per l’allontanamento da casa.
La mission è, dunque, l’accoglienza e la cura di minori sotto Tutela temporaneamente allontanati dalla propria famiglia d’origine perché vittime di abusi e gravi maltrattamenti o per gravi difficoltà  genitoriali.

Come funzionano le vostre strutture?

P. G.

La nostra struttura dedicata ai bambini più piccoli è situata nella zona sud di Milano e si compone di tre grandi appartamentiche tecnicamente vengono definiti Comunità Residenziali. Ogni Comunità accoglie dieci bambini di età compresa fra i tre e dodici anni.
Nel 2014 in zona Bisceglie è nato anche un Servizio di Accoglienza e Cura destinato agli adolescenti nel quale ospitiamo 15 ragazzi dai tredici ai diciotto anni, maschi e femmine, divisi su due Comunità Residenziali.
Nel 2018 a Cesano Boscone, non lontano dalle Comunità per adolescenti, abbiamo aperto anche un appartamento per la semi-autonomia destinato a ragazzi che hanno già compiuto la maggiore età, ma che, non potendo contare su una rete familiare in grado di sostenerli nel loro percorso di avvio alla vita adulta, chiedono di restare nel circuito di tutela dei Servizi Sociali per minorenni al fine di giungere ad avere, via via, una vita sempre più autonoma e indipendente. Questi ultimi vengono seguiti dagli educatori in tutti gli aspetti di costruzione e gestione di un progetto di autonomia individuale basato sull’autonomia lavorativa, finanziaria, relazionale e di gestione della quotidianità.

Quali sono i motivi per cui i minori vengono allontanati da casa?

P.G.
Prevalentemente maltrattamento fisico, abuso sessuale e violenza assistita (in quest’ultimo caso il bambino non è direttamente coinvolto nei maltrattamenti fisici, ma i maltrattamenti fisici avvengono nell’ambito della coppia genitoriale e il bambino è costretto ad assistere alle violenze tra i suoi genitori). Ma ci sono anche numerosi casi di allontanamento per grave inadeguatezza genitoriale, per esempio per problemi legati alle dipendenze, a malattie psichiatriche o ancora per condotte devianti dei genitori. Alla base di queste storie c’è comunque spesso una grave trascuratezza e incuria a danno dei minori.

Come avviene l’allontanamento?

P.G.
A volte in modo urgente, quindi nell’immediatezza perché, in molti casi, è a rischio la vita e l’incolumità dei bimbi e, conseguentemente, il Tribunale decide per un allontanamento coatto.
Altre volte, invece, si tratta di percorsi in cui i minori e il nucleo familiare sono già seguiti dal Tribunale e dai Servizi Sociali che hanno già provato a mettere in campo tutta una serie di supporti e aiuti al nucleo familiare, come ad esempio la presenza di un educatore di supporto presso il domicilio della famiglia o l’iniziale allontanamento del piccolo con la madre verso una Comunità mamma-bambino, tentativi che sono poi falliti per la difficoltà di aderire a questi percorsi da parte del nucleo familiare o delle madri.

Parliamo del lavoro educativo.

P. G.
I bambini sono seguiti dagli educatori ventiquattro ore su ventiquattro. Ogni appartamento ha un équipe di sette educatori che turnano 7 giorni su 7 in quanto devono, necessariamente, essere sempre presenti in struttura.
Il nostro è un approccio integrato di tipo psico-pedagogico che viaggia su due binari: quello del supporto educativo e quello del supporto psicologico individualizzato.
La fetta di lavoro maggiore è svolta dagli educatori.
L’obiettivo è dare ai bambini un luogo sicuro in cui vivere perché, purtroppo, le loro case e le loro famiglie erano luoghi poco sicuri, nei quali accadevano cose spesso imprevedibili, con genitori, dunque adulti, che spesso non solo non li hanno curati, ma neanche protetti esponendoli a situazioni che un bambino non dovrebbe mai vivere.
Ciò che noi cerchiamo di fare è recuperare e restituire maggiore sicurezza ai minori attraverso la loro collocazione in un luogo sicuro e la relazione con adulti coerenti e rassicuranti; bambini che nella prima fase del percorso in Comunità sono terrorizzati, fanno fatica ad addormentarsi, si spaventano se sentono un rumore o un tono di voce leggermente più alto.
La relazione con gli educatori offre ai bambini la conoscenza di modelli adulti molto diversi da quelli che hanno conosciuto. Queste figure professionali e rassicuranti fanno sì che, con il tempo, il bambino riacquisti nuovamente la fiducia persa nei confronti degli adulti: questa la sfida maggiore.
È un lavoro duro e graduale, che avviene nella quotidianità di una cura terapeutica fatta di tutte quelle attenzioni che questi minori non hanno avuto quando avrebbero dovuto.

Cosa andate a ricostruire?

P.G.
Pezzi di vita che sono andati persi.
Ad esempio, gli aspetti di cura sanitaria: alcuni bambini non sono mai stati portati da un pediatra e neanche da un dentista, spesso non sono stati vaccinati.
Sono bambini a cui non è mai stata insegnata l’importanza di lavarsi.
Altro aspetto molto trascurato è quello scolastico: bimbi che a scuola andavano un giorno sì e due no, senza che a casa ci fosse qualcuno che li seguisse nei compiti e nell’approvvigionamento dei materiali scolastici.
A causa dei traumi subiti, spesso, questi bambini sviluppano lacune e disturbi dell’apprendimento. Il rapporto con la scuola è, quindi, molto presidiato e si cerca di aiutarli a recuperare tutto ciò che in precedenza non hanno avuto.
Nell’opera di ricostruzione delle loro vite abbiamo inserito anche sport, vacanze e laboratori, tutti strumenti che ci permettono di stimolarli e che sappiamo essere molto importanti per una loro crescita equilibrata. Teniamo presente che quasi tutti arrivano da condizioni di ipostimolazione familiare.
Rispetto a ciascun minore accolto ci diamo, inoltre, degli obiettivi specifici circa le aree di miglioramento sulle quali andiamo di volta in volta a lavorare. Tutto supportato dal lavoro clinico di tipo psicologico.

Addentriamoci nella parte clinica.

L.C.
Sicuramente, quanto detto poc’anzi dalla dottoressa Gobbi è alla base del nostro lavoro
Il primo obiettivo è quello di ripristinare un ritmo nella vita dei bambini attraverso le routine giornaliere.
I bambini allontanati dalle loro famiglie hanno spesso sperimentato una quotidianità che non prevedeva alcuna regola e alcun ritmo, con adulti non in grado di garantire una regolarità nei pasti, nei ritmi di sonno e veglia, nella cura dell’igiene. Sono bambini non abituati a vivere come garantito il diritto a un pasto caldo, a un letto tutto loro, ad avere degli effetti personali o degli spazi propri che tutti rispettano.
Le regole e le routine della Comunità aiutano i bambini a ripristinare una condizione di calma e di prevedibilità che faranno percepire il nuovo ambiente come un luogo sicuro. Questa sicurezza consente al bambino di fidarsi e affidarsi agli adulti di riferimento. Solo allora l’esperienza comunitaria può diventare un’esperienza educativa e ricostruttiva.
Un altro elemento fondamentale è garantire, laddove il decreto del Tribunale lo preveda, il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine che non solo non va dimenticata, ma deve restare per i bambini un punto di riferimento stabile.
Inoltre, la maggior parte dei bambini ospiti delle nostre Comunità Residenziali godono di un percorso di psicoterapia individuale. Alcuni bambini hanno già dei percorsi avviati quando giungono da noi e che proseguono all’esterno. Altri bambini iniziano il loro percorso con psicoterapeuti interni alla Comunità che lavorano in stretta sinergia con l’equipe psico educativa composta da coordinatori, educatori, pedagogista, psicologi specializzati nel lavoro con i minori e uno psicologo che si occupa delle famiglie di origine, supportandole con percorsi di sostegno alla genitorialità e facendo da ponte tra i genitori e la Comunità. Come dicevamo prima, quasi sempre, i bambini mantengono rapporti con la loro famiglia attraverso visite che avvengono in spazio neutro protetto sempre alla presenza di un operatore di riferimento. Le visite possono anche avvenire all’interno dello spazio neutro della nostra Associazione, alla presenza di un operatore che tira le fila dell’incontro e svolge un ruolo di supporto alla genitorialità.

Come avviene il vostro approccio psico-educativo?

L.C.
Il Prof. Charmet, che ha contribuito allo sviluppo della nostra Associazione per lunghi anni, ha definito le Strutture CAF “Comunità educative a orientamento evolutivo”.
Con i bambini della fascia di età tra i 3 e i 12 anni, basiamo il nostro intervento sulla relazione. Le diverse correnti della psicologia evolutive sono concordi nel sostenere che non c’è apprendimento senza relazione e l’esperienza ci conferma giornalmente che il processo educativo non può prescindere da questa.
I nostri educatori, ogni giorno, mettono la loro competenza e tutta la loro persona al servizio dei bambini costruendo con loro una relazione, che gradualmente consente al bambino di conoscere singolarmente gli adulti che si occupano di lui prendendosene cura, ognuno con la sua specificità e con il suo stile.
Nel momento in cui questi bambini riescono ad avere una relazione di fiducia con gli educatori-adulti il processo di cura è, sicuramente, velocizzato.
Il ruolo del personale educativo è dunque fondamentale, ed è per questo che anche gli educatori vengono seguiti con grande attenzione dal punto di vista psicologico attraverso il confronto continuo con i colleghi e con incontri periodici di supervisione. Inoltre gli educatori partecipano ad una formazione continua che ogni anno viene rinnovata nelle proposte e nei contenuti.
Data la tipologia e la mole di lavoro, nonché il notevole stress che comporta, il rischio di burnout è molto elevato e quindi anche il tasso di tourn over di questo tipo di risorse rischia di essere mediamente più elevato rispetto ad altre categorie di lavoratori, un fenomeno che tentiamo di contrastare il più possibile offrendo condizioni contrattuali stabili e ogni tipo di supporto alla nostra portata. Insomma, la continuità nell’intervento e nella relazione tra minore ed educatore è per il nostro modello di intervento un asset fondamentale che cerchiamo di preservare con grande attenzione e impiego di risorse.

Entriamo nel merito del rapporto con le famiglie.

L.C.
Sono rapporti che vengono profondamente presidiati e curati in tutti i passaggi. Solitamente i bambini incontrano i familiari in Spazio Neutro, cioè in un luogo diverso dalla Comunità residenziale e sempre alla presenza di un operatore specializzato.
I bambini conoscono il calendario delle loro visite che aspettano animati da sentimenti ed emozioni potenti e a volte contrastanti. È importante lavorare con loro affinché giungano agli incontri sereni e in grado di godere fino in fondo dell’esperienza. Un educatore accompagna il bambino agli incontri avendo cura di sfruttare anche il tempo del trasferimento per monitorare la condizione emotiva del bambino, supportandolo e rassicurandolo.
Anche il rientro in Comunità post-incontro deve essere seguito con attenzione ed è un momento importantissimo. Il bambino, infatti, a volte esce dall’incontro soddisfatto, altre volte fa fatica a staccarsi dal genitore, altre volte ancora l’incontro non va come lui se lo aspettava e la sua reazione di disappunto può essere anche molto forte, quindi va ricondotto in Comunità solo quando si è completamente calmato. Piccole accortezze, frutto della preparazione del personale educativo e di una lunga esperienza di accoglienza e cura, che sono molto preziose.
In questi luoghi di accoglienza deve essere tutto predisposto nel dettaglio, la minima disfunzionalità può avere ripercussioni anche importanti sul minore.
Ogni istante della quotidianità è pensato e studiato in ogni suo dettaglio: dal risveglio del mattino alla messa a letto alla sera, dal pasto al cambio… abbiamo un vademecum puntuale a cui gli educatori fanno riferimento in cui dichiariamo per ciascun minore accolto quali siano gli obbiettivi da raggiungere nel corso della giornata.
Diamo indicazioni precise su quale sia il senso educativo di ogni momento e azione della giornata.
Il contatto con le famiglie viene tenuto dai Coordinatori di Comunità che le tengono aggiornate e informate su come stia il loro bambino: questo serve a tutelare i diritti delle famiglie d’origine che, seppur temporaneamente limitate nella loro responsabilità genitoriale, rimangono un punto di riferimento affettivo per i bambini che accogliamo.

Cosa significa dare indicazioni sul senso educativo?

L.C.
Quando giunge una richiesta di accoglienza per un minore da parte dei Servizi Sociali ci attiviamo per raccogliere tutte le informazioni disponibili sul suo vissuto, sulla sua storia. Su queste basi l’equipe stabilisce in quale delle Comunità Residenziali inserirlo, condividendo con gli educatori della Comunità prescelta le informazioni sul bambino e progettando insieme il percorso di accoglienza.
Il bambino è generalmente accolto dal Coordinatore, che stabilisce quale sia l’educatore che lo seguirà per tutta la prima giornata in Comunità in modo da fornirgli, sin da subito, un punto di riferimento che lo accompagnerà per tutta la durata del suo inserimento.
Quando arriva da noi, il bambino trova la sua stanza addobbata con cartelli di benvenuto e un regalino pensato per lui.  Generalmente viene accolto al mattino, mentre gli altri bambini sono a scuola, in modo da gestire i primi momenti dell’accoglienza con gradualità e tranquillità.
Gli altri bambini vengono avvisati con anticipo del nuovo arrivo e sono sempre molto accoglienti col nuovo ospite. Nulla è lasciato mai al caso.
La permanenza in Comunità dei bambini varia da pochi mesi a diversi anni. Tutto dipende dal fatto che abbiano o meno un decreto del Tribunale, che preventivamente stabilisca la loro destinazione una volta terminato il necessario percorso in Comunità.
Per i bambini per i quali non è possibile il rientro in famiglia, solitamente viene emesso un decreto di affido etero familiare. L’adozione per la nostra tipologia di utenti è più rara.
Nel momento in cui scatta il provvedimento di affido da parte del Tribunale, in Comunità si appronta un percorso di accompagnamento del bambino a questa nuova situazione. Un educatore scelto dall’equipe lo seguirà in questa fase delicata di conoscenza con la famiglia affidataria, al fine di prepararlo al meglio al momento delle dimissioni dalla Comunità.

La situazione dei Tribunali per i minorenni non è facile. Perché questi intoppi? Come mai tempi così lunghi?

P.G.
Come per molti settori dell’Amministrazione Pubblica, anche i Tribunali risentono della sproporzione tra casi da gestire e organici insufficienti. Questo ed altri fattori, sono alla base di tempi spesso molto lunghi e non compatibili con i “tempi dei bambini” che rischiano di restare nelle strutture di accoglienza anche per molti anni, o comunque ben oltre il tempo a loro necessario per riprendersi dalle esperienze traumatiche subite e, infine, per capire se c’è margine di recupero sulla famiglia.

Quando vi trovate innanzi a queste situazioni nel quale il minore è stato profondamente ferito dall’adulto, qual è il miglior approccio? Sempre che esista un miglior approccio…

L.C.

Intanto li aiutiamo, nei limiti del possibile, a conservare un legame rispettoso e affettuoso nei confronti della loro famiglia d’origine.
È molto importante aiutare i bambini a ricostruire la loro storia, il percorso che li ha portati alla separazione dai genitori e all’allontanamento dalla loro casa. Questa ricostruzione viene fatta attraverso interventi graduali concordati nell’equipe e monitorati durante le psicoterapie.
Avviciniamo i bambini in modo molto graduale. Noi siamo qui per fare al meglio il nostro lavoro e il loro bene, ma per questi piccoli la cosa non è scontata.
L’approccio graduale permette di guadagnare fiducia… con il tempo li vediamo sempre più rilassati, perdono l’espressione terrorizzata che hanno al loro arrivo in Comunità o gli occhi stanchi e spenti.
Iniziano anche a rifiorire fisicamente, qualcuno ricomincia letteralmente a crescere.
Occorre, inoltre, non essere intrusivi nella vita dei bambini. Aspettare ed essere pronti, attraverso un ascolto attivo, ad accogliere eventuali loro confidenze che non saremo mai noi a sollecitare, perché in nessun modo dobbiamo o possiamo assumere atteggiamenti indagatori
Sono momenti emotivamente molto forti e bisogna essere capaci di ascoltare senza introdurre o indurre interpretazioni, ma accogliendo con rispetto e amorevolezza questi racconti, che spesso sono dolorosi e pesanti. Mano a mano che si affidano, i bambini raccontano e condividono la loro storia, le loro paure, le loro fatiche e i loro sogni.
Sono bambini che spesso pensano di essere la causa di quanto è accaduto all’interno della loro famiglia e si sentono in colpa, ma è importante spiegare loro che i bambini non hanno responsabilità in ciò che è avvenuto.

È tipico.. e non basta dire: non sei stato tu.

P.G.
Bisogna lavorarci… un pezzo lo fa l’educatore, un pezzo lo psicologo e, quando possibile, lo condividiamo anche con la scuola.
Insomma, c’è tutto un lavoro che procede passo dopo passo. Uno degli obiettivi è quello di restituire ai bambini una diversa immagine di sé: proprio la quotidianità condivisa in Comunità consente all’adulto, in molti modi ed in molte occasioni, di far sperimentare al bambino l’esperienza fondamentale di riconoscersi nello sguardo di un altro che lo aiuta a scoprire quello che è e che può diventare.
L’inserimento in Comunità, grazie ad una quotidianità rassicurante e al rapporto con adulti competenti, consente al bambino di iniziare il percorso verso la cura del trauma e ad acquisire uno stile di vita in cui vengono gradualmente recuperate la fiducia e la confidenza con l’adulto e la stima in se stesso. La Comunità funziona come un contenitore “sufficientemente buono” che comprende i bisogni, accoglie le angosce e le preoccupazioni dei bambini, li rispecchia empaticamente, li aiuta a dare un senso alla loro difficile storia per trovare soluzioni costruttive. Li aiuta a dare un nome a sentimenti ed emozioni, in particolare a quelle di rabbia, paura, dolore e confusione. Attraverso un lavoro quotidiano di rispecchiamento e contenimento affettivo gli educatori restituiscono ai bambini il significato delle stesse emozioni che risultano così meno minacciose permettendo ai piccoli di utilizzarle in senso costruttivo al fine di mantenere fiducia e speranza.


Tenendo conto che ogni storia è una storia a sé, che va considerata nella sua unicità, come impostate un percorso individuale?

P.G.
Mettiamo insieme la storia che conosciamo, quella che vediamo e riscontriamo quotidianamente in Comunità dal punto di vista psicologico e padagogico.
Ogni bambino arriva con un suo personale percorso e con una certa “strumentazione” più o meno forte.
Giunge a noi con particolari caratteristiche di personalità.
Compito fondamentale e caratteristico del lavoro degli educatori della Comunità è la formulazione di un progetto educativo individualizzato che tenga conto delle caratteristiche di ciascun minore accolto, della sua storia personale e familiare (con particolare riferimento alla vicenda traumatica di cui è stato vittima) e delle potenzialità di crescita di ognuno. Fondamentale è favorire gradualmente una migliore comprensione della propria situazione familiare.
Gli obiettivi sono relazionali, personali e sociali.

Come vi relazionate con Scuola e Tribunale? Qual è il vostro ruolo nell’interfacciarvi con queste Istituzioni?

P.G
Rispetto all’esterno i nostri rapporti principali non sono direttamente con il Tribunale per i minorenni.
Il nostro principale interlocutore è il Servizio Sociale a cui ogni minore è affidato.
Noi siamo i collocatari scelti dall’Ente affidatario, che è il Servizio Sociale del Comune di Residenza del minore.
Come operatori di Comunità e quindi collocatari del minore, per prendere decisioni rilevanti riguardo alla vita del minore abbiamo bisogno di una delega formale da parte del Servizio Sociale.
Ad esempio, abbiamo una delega per scegliere quale sarà la scuola che il minore dovrà frequentare e per effettuare la successiva iscrizione. Inoltre, abbiamo una delega per mantenere i rapporti quotidiani con la scuola.
La pedagogista di Comunità, ha anche il compito di mantenere i rapporti con le scuole, e quindi, con i dirigenti scolastici e tutti i docenti.
A noi i bambini arrivano in qualunque momento dell’anno, di conseguenza rimaniamo in costante contatto con le scuole e con i diversi dirigenti per trovare loro la giusta collocazione nel più breve tempo possibile.
Negli anni abbiamo costruito un rapporto di collaborazione significativo con i vari istituti scolastici della zona e i loro dirigenti scolastici, che manifestano grande attenzione nell’aiutarci ad identificare in quale classe sia meglio inserire i bambini della nostra comunità in base alle sue problematiche, alla composizione della classe e alle insegnanti presenti.
Anche le relazioni con i docenti sono quasi quotidiane Essere un bravo scolaro è un’esperienza gratificante per tutti i bambini: in particolare per bambini con scarsa stima di sé avere un ambito di cui poter essere soddisfatti è esperienza importante e preziosa. La fatica a concentrarsi, a mantenere l’attenzione, l’evidenziarsi di problemi di comportamento e di contenimento della propria aggressività e la difficoltà a motivarsi rispetto all’utilità di apprendere, che caratterizzano spesso questi bambini, rende particolarmente urgente l’esigenza di costruire un rapporto di stima e collaborazione con le scuole. Importanti i colloqui ed il protocollo d’intesa, ma anche l’andamento nella quotidianità (puntualità, cura per i compiti, cura del materiale, ecc.).
È possibile pensare per ogni situazione gli opportuni interventi di aiuto e potenziamento delle capacità cognitive e di concentrazione (percorsi particolari, orari ridotti, ecc.)
I rapporti con il Tribunale, invece, sono tenuti per lo più dalle Assistenti Sociali di riferimento dei minori a cui noi, ogni tre mesi, inviamo relazioni scritte di aggiornamento sia del lavoro educativo svolto che di quello clinico-psicologico.
Le nostre relazioni, unitamente alle relazioni di aggiornamento sull’andamento della situazione familiare redatte dall’Assistente Sociale, vengono periodicamente inviate al Tribunale che, in questo modo, è costantemente aggiornato sulla situazioni dei minori.
Infine, organizziamo incontri di rete con tutti gli operatori coinvolti nel progetto sul nucleo familiare: noi operatori dell’Associazione CAF, l’Assistente Sociale e gli operatori che seguono i genitori.
Anche queste reti, ad un certo punto del percorso, hanno una finalità progettuale, hanno come obiettivo quello di definire il progetto futuro dei minori e della famiglia da sottoporre al Tribunale.

Poc’anzi avete parlato di rieducazione delle figure genitoriali. In questi casi, quale percorso segue il genitore? Siete voi a seguirlo?

L.C.

Noi, come dicevamo prima, seguiamo gli incontri protetti tra il minore e la sua famiglia e mettiamo a disposizione dei genitori uno psicologo specializzato sulle problematiche del nucleo famigliare.
Spesso, per i genitori dei minori allontanati il Tribunale prescrive veri e propri percorsi di recupero, di valutazione, di psico diagnosi o disintossicazione in base alle problematiche del nucleo. Alla fine di ogni percorso i Servizi Sociali, insieme agli operatori che seguono i genitori, riferiranno al Tribunale attraverso relazioni di aggiornamento, sul percorso e sui risultati raggiunti dai genitori per consentire una valutazione circa la possibilità di essere riabilitati e siano quindi in grado di riaccogliere il proprio figlio o meno.
Grazie alla pedagogista del nostro Servizio Affido seguiamo, inoltre, gli incontri periodici protetti tra i minori andati in affido etero familiare e le loro famiglie d’origine, cercando di sostenere l’intero nucleo nel delicato momento in cui il figlio è collocato in un’altra famiglia.


Abbiamo spiegato che molti bambini hanno, spesso, scatti di rabbia o atteggiamenti provocatori.  Cosa si cela dietro queste manifestazioni?

P.G.
I bambini che in Comunità mostrano comportamenti provocatori e aggressivi nei confronti di altri bambini, adulti o anche di se stessi, hanno subito a loro volta gravi maltrattamenti: sono stati duramente picchiati dagli adulti che avrebbero dovuto prendersi cura di loro, hanno assistito a violenze fisiche e verbali di un genitore sull’altro, hanno subito molestie o violenze sessuali da figure adulte di riferimento, sono stati gravemente confusi dal maltrattamento psicologico sotteso a tutte queste esperienze traumatiche.
Per questo, una volta arrivati in Comunità, questi bambini possono riprodurre comportamenti violenti e aggressivi, portando con essi la grande confusione in cui si trovano: essi infatti non sanno chi sono, se aggressori, vittime, complici o traditori
In questo senso, l’obiettivo della Comunità è di proporre le primissime azioni di riparazione al dolore e al danno che è stato prodotto in questi bambini.
Ai bambini spieghiamo che in Comunità la violenza, in tutte le sue forme, non entra e che i bimbi
sono vittime del loro vissuto pregresso.

Un altro tema va affrontato: l’esiguo numero di famiglie affidatarie.

P.G.
Sì, le famiglie affidatarie che si rendono disponibili ad accogliere un minore sono poche in relazione al numero di bambini bisognosi di essere accolti o già in possesso di un decreto di affidabilità a terzi.
C’è una sproporzione enorme.
Quindi, anche se il Tribunale ha emesso il decreto in tempi brevi, può passare anche un anno prima che si trovi una famiglia o un adulto che si candidi per accoglierlo nella forma dell’affido all’interno della propria famiglia. In questa lunga attesa il bambino arriva a pensare di non essere abbastanza desiderabile o adeguato a questo tipo di accoglienza e che è per questo motivo che la famiglia affidataria non si riesce a trovare.
Da un lato quindi mancano risorse adulte che si candidino per affrontare/offrire questo tipo di accoglienza a minori in difficoltà e dall’altro il procedimento di affido è comunque molto delicato e per certi versi complesso, dunque richiede da parte di tutti i soggetti coinvolti un grosso lavoro di supporto.

Torniamo ancora al senso di colpa, dunque.
Come riuscite a spezzare il senso di colpa che sorge nei bambini?

L.C.
Lavoriamo con i bambini favorendo in ogni esperienza una graduale, ma sempre più significativa presa di coscienza di quella che è la loro vita e la loro storia (ovviamente in riferimento all’età e alle possibilità di ciascuno). Rendiamo partecipe il bambino di quello che accade, di tutto ciò che lo riguarda, dalle piccole cose alle scelte più significative; è importante esplicitare il senso del cammino che si fa insieme, sottolineando i progressi, la crescita, i momenti di difficoltà ed eventuali passi indietro. I nostri bambini sono molto saggi, sanno distinguere le emozioni e parlare di esse già ad una tenerissima età.
Conoscono la differenza tra rabbia, gioia e tristezza e la sanno proiettare nel corpo, le sanno dominare e sono in grado di lavorare su queste emozioni. Vanno però guidati e noi li aiutiamo proprio a comprendere le giuste strategie. A questo arrivano, però, dopo un lungo e duro lavoro.

P.G.
Un altro grosso lavoro che facciamo è quello sull’autostima.I bambini che incontriamo non si sentono degni d’amore. Nella loro storia erano quelli che non avevano mai il materiale scolastico o quelli sempre sporchi o vestiti in maniera inadeguata, che non potevano mai fare nessuna attività.
Rientra nel ruolo degli educatori la cura dei bambini accolti, che hanno alle spalle esperienze di deprivazione e incuria: se ben accuditi i bambini possono iniziare a ricostruire una diversa immagine della propria persona, a sentirsi più belli, più puliti, più sereni, ad accettarsi per quello che sono.
Grande importanza ha per noi anche il curare e pensare gli spazi all’interno dei quali si struttura l’esperienza di vita dei bambini; avere un luogo ordinato e bello, delle stanze dotate di tutto il necessario, dove riporre i propri giochi, una libreria dove è facile prendere un libro, un angolo in cui stare tranquilli. In un contesto curato i bambini crescono più consapevoli di sé e del mondo che li circonda. Le case e gli spazi da cui provengono i bambini erano spesso disordinati, non curati, promiscui tanto quanto disorientante è stata la loro vita.
Ci muoviamo molto anche nel migliorare e sviluppare le loro relazioni verso l’esterno.
Ogni bambino, per esempio, sceglie l’attività sportiva che vuole.
Lavoriamo, inoltre, molto in prevenzione cercando di azzerare lo stigma rispetto al bambino in Comunità.
Siamo molto attenti che i bambini siano curati, puliti e con un abbigliamento personale.
Ci spingiamo anche oltre, sollecitandoli ad avere rapporti con coetanei anche fuori dalla Comunità, facilitando al massimo anche i rapporti con i compagni di classe.
Per ovvi motivi tendiamo a non mandarli a casa di altri bambini, perché lì c’è una casa, c’è una famiglia con cui confrontarsi, ma facciamo volentieri venire i compagni di scuola a giocare o a fare i compiti in Comunità. Abbiamo anche un piccolo monolocale nel quale organizzare i tanto ambiti pigiama party o le feste di compleanno.

Prima di concludere c’è un’ultima domanda che voglio farvi: quant’è difficile per un bambino la presa di coscienza di ciò che gli è successo e gli sta succedendo?

L.C.
Mi verrebbe da dire tanto e poco… sono esperienze difficili da comprendere anche per un adulto strutturato, ma la vitalità di questi bambini, se ben stimolata e recuperata, produce un’accelerazione molto potente. Abbiamo una visione molto positiva della loro capacità di comprensione e recupero.





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