lunedì, Aprile 29, 2024
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DCA e Nutrizione. Intervista a Sara Novero, psicologa, psicoterapeuta e socia fondatrice presso Nutrimente in Terapia.

Torno a parlare di DCA, ovvero disturbo della condotta alimentare che, manifestandosi in differenti modalità, diviene metamorfosi di un disagio nella sua materialità: la punta di un icebearg al di sotto del quale si muovono meccanismi, tutti da scoprire.
Con il tempo ho compreso di essere venuta al mondo con il bisogno di essere nutrita, che il cibo è un canale che mi congiunge al mio intimo, al materno e, molto spesso, era anche l’unico fattore su cui esercitavo controllo.
Aggiungendo che ogni storia va consideratanella sua unicità, dialogo, oggi, con Sara Novero, psicologa e psicoterpeuta presso Nutrimente in Terapia.

A livello psicofisico, quanto è importante una nutrizione sana ed equilibrata?

Da sempre noi dell’associazione Nutrimente – che nasce dieci anni fa dal desiderio di un gruppo di colleghi tra cui medici, psicologi, psichiatri e dietisti – agiamo in funzione della prevenzione ai disturbi della condotta alimentare, nello specifico, ci battiamo per dare un’idea di alimentazione sana ed equilibrata.
Quindi, noi continuiamo a sottolineare l’importanza di un’alimentazione regolare e completa che possa non escludere nessun tipo di alimento.
Molte volte viene venduta la cultura di una dieta che elimina carboidrati e dolci, concretamente, però, in quella che è un’alimentazione normale è fondamentale avere tutti i componenti.
Per questo, in modo particolare, la parte di dietisti che collabora con noi lavora molto sulla prevenzione.

Cosa significa regime alimentare regolare?

Regolare vuol dire avere un regime alimentare che comprenda tre pasti principali e due spuntini, divisi in mattina e pomeriggio, questo per evitare di mettere in atto meccanismi che portino a una restrizione alimentare e di conseguenza a un eccesso alimentare.

Per quanto riguarda i nutrimenti necessari che non devono necessariamente mancare al nostro organismo e alla nostra mente per vivere in modo funzionale, cosa mi può dire? Quali sono?

In questi anni, in cui mi sono occupata di disturbo alimentare, quanto ho imparato è che devono esserci tutti i componenti: il piatto deve essere completo, deve esserci una parte di carboidrati, di proteine, di grassi, di liquidi, frutta e verdura.
Tutti gli alimenti sono importanti.
Niente deve essere escluso.

Ha parlato di DCA: generalmente partono da una dispercezione corporea e da una dieta che, spesso, altro non è che una dieta fai da te.

Esatto, la maggior parte degli esordi di un disturbo alimentare inizia con il mettere in pratica una dieta fai da te, che significa omettere una serie di alimenti che la persona ritiene possano portare ad un aumento di peso.
Altra cosa molto importante che lei ha detto e, molto corretta, è che alla base del disturbo vi è il dare una definizione di sé, essenzialmente basata su quella che è la percezione del corpo e, quindi, un’eccessiva valutazione del peso e  delle dimensione corporee.

Generalmente, il disturbo esordisce in età adolescenziale per via di quel processo di individuazione-separazione. Occorre però considerare ogni storia nella sua unicità. Quali sono i principali fattori che portano a scatenare un disturbo della condotta alimentare?

Allora, i fattori possono essere tantissimi.
Lei ha detto una cosa molto importante: ognuno ha una propria storia, quindi può essere che in alcune persone possa essere presente un evento scatenante che, magari, nella storia di qualcun altro è diverso.
Quando parliamo di DCA, anche quando ne discuto nei gruppi che tengo con i famigliari, utilizzo sempre questa metafora: il disturbo alimentare è come un iceberg. Noi ne vediamo la punta che rappresenta, nel caso del disturbo, il cambiamento del peso, che è l’elemento più visibile, ma sotto alla punta c’è un mondo.
Dunque a livello terapeutico si va a lavorare, sicuramente, su tutta la parte della persona legata al disturbo alimentare in sé.
Mi preme sottolineare l’importanza di rivolgersi sempre ad un centro specializzato nel quale vi sia un equipe multidisciplinare che possa aiutare a trecentosessanta gradi.

Raccontiamo un po’ come funzionano queste équipe multidisciplinari.

La nostra equipe è formata da psicologi e psicoterapeuti specializzati nella cura del disturbo alimentare, psichiatri, medici, nutrizionisti, dietisti, internisti che possano andare a lavorare su tutto il disturbo.
Va ricordato che questa pandemia ha comportato un incremento del 30% di soggetti che ne soffrono.

Sappiamo che il cibo diviene una sorta di nemico. Perché ci si scaglia su di esso?

Bella domanda. In realtà, secondo me, non ci si scaglia contro il cibo, ma il cibo diventa il veicolo per mostrare una problematica all’esterno, appunto perché come già detto, si basa su un’eccessiva valutazione del peso e delle dimensioni corporee.
Il DCA è un disturbo molto complesso di cui noi, come associazione, ci occupiamo anche attraverso il supporto ai famigliari.
Difatti, esso coinvolge non solo la persona che ne soffre, ma tutti coloro che le ruotano intorno.
Offriamo dei gruppi proprio con i famigliari, in cui, in un primo momento, diamo indicazione per conoscere prima e gestire poi il disturbo, parliamo, dunque, di gruppi psico-educativi.
Successivamente, organizziamo gruppi con genitori facilitatori che hanno fatto un corso di specializzazione, supervisionati da una figura esperta di psicoterapeuta.

Secondo lei, quanto è importante la messa in discussione della componente genitoriale, fermo il principio che ogni storia è una storia a sé?

Mi occupo tanto di genitori e penso che più che il genitore in sé vada messo in discussione il quotidiano di un sistema familiare.
Come psicoterapeuta penso che quando c’è un problema, c’è qualcosa che non funziona, quindi questo qualcosa va modificato, altrimenti il problema rimane.

Qual è la reazione di un genitore innanzi a una diagnosi di disturbo alimentare?

Sono tante: negli anni ho visto genitori spaventanti innanzi a quanto stava accadendo, impotenti, non sanno cosa fare.
Quando il genitore arriva a chiedere aiuto mi dice: “Non so cosa fare, tutto quello che faccio è sbagliato”.
Hanno, quindi, bisogno di accoglimento.
A volte è presente un sentimento di vergogna verso l’esterno, anche rispetto a ciò che sta accadendo alla propria famiglia.
Le emozioni sono davvero tantissime.

Come si spiega a un genitore cos’è un disturbo alimentare e quale può essere l’origine?

Viviamo in una società nella quale per via della tecnologia un genitore arriva con mille informazioni. È fondamentale spiegare cosa sta succedendo. Spesso, nel momento in cui raccontiamo di cosa si tratta e quali possono essere i fattori scatenanti, come ad esempio la comunicazione all’interno della famiglia, i genitori riescono a riconoscere qualche fatto, effettivamente, accaduto: è come se rimettessimo insieme un puzzle che è un po’ in disordine.

Nei casi di disturbi alimentari, si cerca l’invisibilità e, attraverso essa, si vuole che questa invisibilità sia compresa all’esterno.

Sì.

Come avviene questo meccanismo?

Ci sono tante teorie, sul significato del disturbo alimentare. Io penso che ci sia una determinazione della persona che si basa solo sulla propria immagine corporea e sul proprio peso, mentre è importante lavorare su quella che è la definizione di sé stessi.
Spesso chi soffre di disturbo alimentare si isola, cerca la solitudine sociale perché non riesce più a stare in contatto con gli altri. Fatica a percepire le sue emozioni e a gestirle.


Tra l’altro il disturbo alimentare può viaggiare in comorbilità con altre psicopatologie.

Assolutamente, sì. Qui entriamo molto nello specifico.
Èun ambito difficoltoso e complesso e per tale motivo ci avvaliamo di differenti figure specializzate, non solo medico psichiatra, nutrizionista, internista, dietologo, ma anche del ginecologo e del cardiologo. Molte figure vengono coinvolte.

Il disturbo alimentare può diventare causa invalidante?

Nei casi gravi, assolutamente sì.
Poi, si può guarire.
Nelle fasi di grossa difficoltà può essere problematica l’attività scolastica o lavorativa, a maggior ragione se c’è di mezzo un ricovero.
Ci sono diversi livelli di cura: da quello ambulatoriale al ricovero.
A un certo punto occorre mettere la persona in sicurezza rispetto allo stato di salute.

Cosa significa guarire?

Quello di guarigione è un concetto relativo. Si parla di guarigione nel momento in cui la persona riesce a raggiungere l’equilibrio.
Chi soffre di DCA ha la vita compromessa a diversi livelli, nel momento in cui non c’è più compromissione della vita quotidiana, allora, si può parlare di ripresa di una semi normalità.
Poi il concetto di normalità è , anch’esso, molto relativo.

All’incirca, quanto può durare un percorso psicoterapico?

Anche qui, dipende.

In realtà, sai quando entri, ma non sai mai quando esci.

Dipende molto dalla persona e dalla sua storia.
Il percorso può avere durata variabile, ma sicuramente mi sento di dire che non è un percorso breve.

In ultimo, attraverso la sua voce, vorrei mandare un messaggio a genitori e insegnanti, affinché si possano accorgere fin da subito che il ragazzo o la ragazza sta entrando in fase di difficoltà. Quali sono i primi sintomi fisici e psichici che riconducono a un DCA?

Direi che è essenziale che se un familiare o un educatore si accorge di un cambiamento importante, di una “frattura” con il passato con modificazioni del tono dell’umore, un progressivo e marcato ritiro sociale e, non per ultima, un’eccessiva preoccupazione per le forme corporee e per l’alimentazione, è importante rivolgersi a specialisti per chiedere aiuto.

Per info relative a disturbi della condotta alimentare e per ogni necessità.
Nutrimente in Terapia
Via Vincenzo Monti 52, Milano
info@nutrimente.org


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