Cari Amici,
la nostra terra trema e noi siamo qui… a tremare con essa.
Un antico e popolare canto natalizio immette il fedele nella tradizionale grotta di Betlemme e dice: “Bambino mio divino ti vedo qui a tremar, mancano panni e fuoco,
ma questa tua povertà mi innamora, giacché ti fece Amor più povero ancora!”
È la descrizione realistica e sofferta di tre ferite sulla nostra “carne”. La prima è quella che stiamo vivendo noi nelle Marche dove tremiamo perché la terra trema, tremiamo per la paura incombente di altre e più rovinose scosse, tremiamo con tutti gli sfollati in roulotte o in tenda o in camere d’albergo lontane dalle proprie abitazioni. E quest’ultimi tremano per il timore di “sciacalli” che rubino gli oggetti che costituiscono la storia, la memoria storica, l’identità familiare.
E l’inverno avanza col suo legittimo rigore!
La seconda è l’Italia lettera-natale-2016
che trema davanti ad una
“invasione” pacifica – ma
non meno problematica – di
migliaia di profughi, masse
di immigrati che si riversano
sulle nostre coste o alle nostre
frontiere, folle di disperati che
hanno tremato per giorni in
un mare infido, su barconi per
nulla affidabili, con lo spettro
della morte per annegamento
davanti agli occhi e col
tremore di vedersi rispedire
“al mittente” una volta giunti
in salvo.
La terza ferita è quella di chi trema: per l’estrema precarietà che da nove anni coinvolge
una gran parte di lavoratori e famiglie, per l’alto tasso di disoccupazione. E i giovani tremano perché non vedono futuro se non, a loro volta, diventando emigranti.
E potremmo allungare la lista, basti pensare alla “giustizia” o alla iniqua distribuzione della ricchezza e delle risorse, ai danni dell’ambiente.
Nelle case diroccate dal sisma, nelle tende o roulotte – nuove “grotte” dove i panni sono quelli degli sfollati e il fuoco non riscalda più un nucleo familiare che in molti casi non c’è più – come può nascere la speranza, la novità che cambia la vita? Come percepire la presenza di Gesù che rinuncia alla sua dimora,in una terra ostile, talvolta resa ostile dalla stessa incuria dell’uomo?
Nei volti degli immigrati che si aspettano il sorriso dell’accoglienza e nei volti di chi ha paura di essi perché vede solo una possibile perdita (di lavoro, di identità culturale, etc…) e vive gli aspetti contradditori tra diritti da tutelare e utilità sociali da condividere – nuova “grotta” instabile – come avvertire la presenza di Gesù senza fissa dimora che chiede al fratello – giustamente perplesso davanti alla complessità del problema – di farsi creativo e coraggioso sì da osare e credere che l’Amore si è fatto povero per essere lui dimora degli uomini e la misericordia di Dio diventi la casa dell’uomo?
Nella precarietà di tante famiglie che avendo dato fondo a tutti i sudati risparmi di anni, stanno allungando la lista dei nuovi poveri, ferendo la dignità dei padri e allungando l’immaturità e la dipendenza dei figli che non possono responsabilizzarsi attraverso un lavoro che non c’è – “grotte” senza tempo – come ridare onorabilità ai padri e coscienza adulta ai figli? Padri e figli emblemi entrambi di un Gesù umiliato dal potere dispotico (sfuggito di mano ai politici) delle “leggi dell’economia di mercato” che si condensano in un dato terribile: il 90% della ricchezza mondiale è in mano all’1% delle persone!
Cari Amici, “che cosa dobbiamo fare allora? Restare inattivi davanti alla possibilità di fare il bene e abbandonare l’amore? Il Padrone (Dio) assolutamente non permette che questo accada! Al contrario,affrettiamoci con zelo e ardore a compiere ogni opera buona”. Ho preso questo passaggio dal più antico, credo, testo cristiano, la cosiddetta lettera di Clemente databile al 50-70 d.C. (1Clem 33,1).
L’uomo ha bisogno di legami, di stare di fronte agli altri e se la speranza è sempre legata ad una relazione, la disperazione è in fondo la solitudine. In ogni “grotta” deve almeno sempre conservarsi la relazione, la tenera attenzione reciproca, percepire mani di madre che ci avvolgono e consolano: è questo che Gesù ci dice prendendo le sembianze del terremotato, dell’immigrato, del precario.
In questo nuovo mondo dove c’è posto per ogni diversità e il secolarismo si disinteressa di Dio, nasce e cresce una nuova fede, fede atta a costruire legami ed esperienze comuni nelle realtà meticce della nostra società; atta a riumanizzare la vita quotidiana con una fraternità, sospiro che dona nuova speranza; mai orfani di speranza! Era il sospiro che univa il trepido sguardo di Maria e Giuseppe sul bimbo Gesù, su tutti i bimbi del mondo, su tutti gli uomini dal cuore e dallo sguardo puro di bambini.
Vogliamo comunque rassicuravi che la nostra casa comunitaria, che voi ci avete aiutato a costruire, grazie alla perizia e fermezza dei nostri Tecnici e Maestranze, ha retto – almeno finora! – alle circa 20.000 e più scosse che hanno messo a dura prova la tenuta del nostro territorio. Anche da questa lettera la nostra gratitudine a voi, ai Tecnici e a chi ha eseguito con passione e precisione i lavori.
Ora siamo impegnati nel sostenere le numerose famiglie vicine in stato di disagio e difficoltà. A tal proposito vogliamo ringraziare due piccole parrocchie del Piacentino e altri piccoli gruppi lombardi, veneti, friulani e marchigiani che hanno voluto, tramite noi, far giungere direttamente alle famiglie disagiate la loro vicinanza e un loro contributo. Al ringraziamento delle famiglie beneficiate, uniamo il nostro per la fiducia ripostaci.