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Vittorio Arrigoni: memoria e assedio, ieri e oggi.

Caro Vittorio,

scriverti significa abitare un tempo sospeso, dove memoria e presente si intrecciano. Le tue cronache, incise in “Restiamo Umani”, non sono soltanto testimonianza di un passato di ferro e fuoco: sono ammonimenti che continuano a scuotermi.
Durante l’operazione “Piombo Fuso”, vedevi con lucidità ciò che tanti preferivano ignorare: la vita civile spezzata dalle bombe, l’ingiustizia reiterata.
“Questa, infatti, non è una guerra, perché non ci sono due eserciti che si danno battaglia su un fronte: è un assedio unilaterale condotto da forze armate (aviazione, marina ed esercito) fra le più potenti del mondo che hanno attaccato una misera striscia di terra di 360 kmq, dove la popolazione si muove ancora sui muli e dove c’è una resistenza male armata la cui unica forza è quella di essere pronta al martirio.”

Raccontavi la brutalità senza maschere: “All’ospedale di Al Shifa sono andato a trovare Tamim, sopravvissuto a un bombardamento. Mi ha spiegato come secondo lui Israele sta adottando le stesse tecniche di terroristiche di Al–Quade: bombarda un edificio, attende l’arrivo dei giornalisti e dei soccorritori, poi fa cadere un’altra bomba che fa strage di questi ultimi.”
E aggiungevi: “Israele ha trasformato gli ospedali palestinesi in tante fabbriche di angeli. Quei corpicini smembrati, quelle vite potate ancora prima di fiorire saranno un incubo per il resto della mia vita, e se ho ancora la forza di raccontare della loro fine è perché voglio rendere giustizia a chi non ha più voce, forse a chi non ha mai avuto orecchie per ascoltare.”

Denunciavi senza esitazione: “Bombardano gli ospedali e c’è chi ancora si pronuncia sul ‘diritto di Israele all’autodifesa’. In qualsiasi stato che si definisca minimamente civile, l’autodifesa è proporzionata all’offesa. Mi chiedo come Israele possa definirsi civile e democratico se, per stanare e uccidere un nemico nascosto in un edificio abitato, il suo esercito non esita ad abbatterlo seppellendoci sotto decine di innocenti.”

Ancora più incisivo, rilevavi l’impegno dei volontari come te: “Non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza come testimoni oculari dei crimini contro la popolazione civile, ora per ora, minuto per minuto. Non siamo fuggiti come ci hanno consigliato i nostri consolati, perché il nostro apporto sulle ambulanze, come scudi umani e nel dare prima assistenza ai soccorsi, potrebbe rivelarsi determinante per salvare vite. Anche ieri un’ambulanza è stata colpita a Gaza City, il giorno prima due medici del campo profughi di Jabalia erano morti, centrati da un missile sparato da un elicottero Apache. Personalmente, non mi muovo da qui, perché sono gli amici ad avermi pregato di non abbandonarli. Quelli ancora vivi, ma anche quelli morti, che come fantasmi popolano le mie notti insonni. I loro volti diafani ancora mi sorridono.”

E sottolineavi l’importanza del giornalismo, allora come oggi ostacolato: “Verso mezzanotte ho ricevuto una chiamata da Eva. L’edificio in cui si trovava era stato attaccato. Conosco bene quel palazzo, al centro di Gaza City: è la sede dei principali media, ci ho passato una notte con alcuni amici fotoreporter palestinesi. Reuters, Fox News, Russia Today e decine di altre agenzie locali e non, sotto il fuoco di sette razzi partiti da un elicottero israeliano. Sono riusciti a evacuare tutti prima di rimanere seriamente feriti: cameraman, fotografi, reporter, tutti palestinesi, perché Israele non permette a giornalisti internazionali di entrare a Gaza. Non ci sono obiettivi strategici intorno a quel palazzo, né resistenza che combatte l’avanzata dei blindati israeliani.

A distanza di sedici anni, il copione rimane intatto: Gaza è ancora sinonimo di assedio, di punizione collettiva, di silenzi complici. Affermavi: “Ogni giorno mi ripeto che nessun muro, nessun embargo, nessuna occupazione potrà spegnere il diritto alla vita di questo popolo.
Eppure, in tale fase storica, i muri sembrano più alti, la stretta ancora più crudele.

La tua esortazione, “Restiamo umani”, rimane un imperativo etico. “Se la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, l’umanità è l’unico rifugio dei giusti.”
Vittorio, se mi rivolgo a te, che ormai non sei più tra noi, è perché la tua voce continua a vibrare, custodendo la memoria di chi soffre.

In questo momento, quelli che sono stati i tuoi resoconti giornalieri –  specchio e analogia di quanto accade ora – ci obbligano a guardare, a riconoscere che “umanità” non è concetto astratto ma gesto quotidiano di resistenza.
E mentre il presente, deliberatamente, ripete gli stessi scempi di ieri, la tua eredità rimane un faro.

“Qualcuno fermi questo incubo. Rimanere immobili in silenzio significa sostenere il genocidio in corso. Urlate la vostra indignazione, in ogni capitale del mondo ‘civile’, in ogni città, in ogni piazza, sovrastate le nostre urla di dolore e terrore.”

La tua richiesta, di fronte all’attuale conflitto, non è rimasta senza risposta.
Ti narro di chi continua a perseverare, a muoversi per spezzare il mutismo: le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla sono salpate nel tentativo di forzare il blocco israeliano e consegnare aiuti umanitari a Gaza.  Ad esse si è unita la nave Life Support di Emergency, portando appoggio medico e logistico.
E c’è chi ha pagato un prezzo alto per segnalare ciò che vede: Francesca Albanese, osservatrice ONU, ha osato parlare pubblicamente della situazione a Gaza e ne ha subito le conseguenze, entrando nella lista nera di chi sfida certi poteri. Eppure, come te, ha deciso di non indietreggiare.

Già tu, Vik, avevi chiamato per nome il genocidio, riconoscendolo non solo come orrore concreto, ma come falla morale.
Se tu fossi qui, come descriveresti questi due anni di inferno a Gaza? Quella stessa Gaza che per te era una seconda pelle, un’estensione dell’anima capace di trasmettere agonia, resistenza e speranza.

“Non ci sono luoghi sicuri lungo tutta la Striscia.”

Fonte bibliografica
Vittorio Arrigoni, Restiamo Umani
Edito Manifesto Libri
Data Pubblicazione 21 aprile 2011

Mara Cozzoli

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