Tra Art Fair e muri in affitto: il sistema dell’arte visto da Miky Degni.
Il mercato dell’arte è cambiato.
Nell’intervista odierna, Miky Degni, artista e grafico pubblicitario, ci porta dentro le dinamiche che stanno trasformando tale mondo: dalle fiere diventate veri e propri centri commerciali alle gallerie “a pagamento”, fino agli artisti che rischiano di omologarsi.
In ultimo, suggerisce strategie concrete per restituire autenticità e valore alla creatività.
Recentemente ha scritto un articolo nel quale afferma che il sistema dell’arte è “drammaticamente in declino”.
Quando ha iniziato a percepire che non si trattava più di episodi isolati, ma di una trasformazione strutturale?
Da quando sono nate le Art Fair. Queste fiere dovevano essere i nuovi palcoscenici per scoprire i nuovi talenti dell’arte e consolidare le vecchie glorie. In realtà nel tempo si sono trasformate in veri e propri centri commerciali dell’arte, con i suoi box stile Ikea, dove trovi opere da abbinare alle tende.
Nel suo intervento individua, inoltre, figure che definisce “i nuovi agenti immobiliari dell’arte”: fiere-mercato, gallerie “muro a pagamento”, curatori/ imprenditori..
Chi sono esattamente questi attori e quali logiche economiche li muovono?
Mi riferisco a coloro (art curator e presunti tali) che anziché cercare i talenti cercano il business facile. Tu mi paghi e io ti faccio appendere il tuo quadretto. Ecco, ha detto bene. Attori !!!
A parer suo, quali sono i rischi più immediati di un modello basato sull’affitto di spazi anziché sulla cura dei talenti?
I rischi sono un appiattimento della qualità a scapito della quantità. Per capirlo è sufficiente girovagare per le fiere. Vediamo artisti che fanno dei bellissimi collage tutti uguali, strappando le copertine di Topolino incollandole su tela, o artisti che riproducono loghi Louis Vuitton buttati qua e là, o gli street artist che scimmiottano Bansky senza conoscere la storia del writing. Oggi va di moda la Pop Art, la corrente creata negli anni ’60 da Warhol, Wesselmann, Rosenquist, Oldenburg, Lichtenstein e altri; dove questi artisti raccontavano la mercificazione dei prodotti di largo consumo con il linguaggio dell’arte, ognuno con un suo stile inconfondibile. Oggi assistiamo alla mercificazione delle pareti da affittare, dove si fatica a distinguere un artista da un altro. Questo è il rischio, vedere dei cloni che si perpetuano all’infinito da una fiera all’altra.
Ha sottolineato, inoltre, che “il povero artista è sfruttato a sua insaputa”.
Siamo proprio certi che, invece, lo stesso artista non ne sia consapevole e si adatti alle regole del gioco?
Alcuni ne sono consapevoli e stanno al gioco, altri sono talmente giovani che sperano di aggiungere una riga al proprio curriculum senza sapere dove andare a parare.
Quali segnali concreti possono aiutare un artista emergente a distinguere una proposta autentica da una opportunistica?
E qui torniamo al ruolo del gallerista. Una volta esisteva lui, il gallerista, che aveva il fiuto di individuare il talento. Personalmente propendo per questa figura e con lui costruire un percorso duraturo nel tempo.
Se dovesse proporre tre azioni concrete e immediatamente applicabili per aumentare la qualità del sistema dell’arte, quali indicherebbe?
Sarò drastico:
1) abolirei le fiere
2) tornerei a cercare le gallerie, quelle serie
3) Lavorare all’estero.
Che differenza c’è tra un mercato che valorizza la ricerca e un mercato che la omologa?
Parto sempre da un presupposto. L’artista deve essere libero nel pensiero e nell’azione, non deve piegarsi né alle mode, né al mercato.
Il mercato, casomai sarà la conseguenza di ciò che ha seminato. Se ti omologhi non andrai molto lontano, rischi solo di diventare il clone di qualcun altro.
Chiude il suo articolo con un’immagine amara: “non ci resta che attendere che le banane marciscano”. Se volessimo evitarlo, da quale intervento culturale ripartiresti?
Le banane sono l’apoteosi della nostra società contemporanea. Oggi stiamo vivendo un momento di transizione, tra guerre in corso, assetti politici instabili e politici che non sono all’altezza dei ruoli che ricoprono, anche il mondo dell’arte segue questo trend, ahimè. L’intervento culturale? Creare spazi alternativi alle fiere, con luoghi di confronto e di dialogo al fine di favorire una semina tra artisti e potenziali collezionisti.
Possiamo dire, allora, che quanto osserviamo oggi nell’arte riflette in pieno la società contemporanea, in ogni suo aspetto.
È proprio quello che ho detto. E volendo sintetizzare con una battuta aggiungerei: “ Siamo negli 20 la Brut Epoque del nuovo millennio”
Mara Cozzoli