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Francesca Albanese, vivere sotto sanzioni

A partire da luglio, nel momento in cui gli Stati Uniti l’hanno inserita nella lista delle sanzioni, la vita di Francesca Albanese – relatrice speciale ONU sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati – è stata stravolta.
Ieri, giovedì 4 settembre 2025, ha scelto di condividerlo pubblicamente al Senato, durante una conferenza stampa promossa da Alleanza Verdi e Sinistra.

“Non potendo aprire un conto corrente bancario non posso fare quasi niente. Sono rientrata a Napoli per ragioni familiari e senza carta di credito non ho potuto nemmeno affittare un’auto. Questa nei miei confronti è una modalità punitiva e persecutoria”, ha dichiarato. Una testimonianza che rende palpabile l’impatto quotidiano di una misura che colpisce non solo la sua persona, ma chiunque entri in contatto con lei: “Mia figlia è tecnicamente passibile di arresto per avermi comprato un caffè”.

Le misure punitive americane sono pesantissime: chi intrattiene rapporti finanziari con Albanese può essere punito con multe milionarie e fino a vent’anni di carcere. Un isolamento costruito a tavolino, che congela legami e genera timori.

Da relatrice speciale ha presentato rapporti alle Nazioni Unite documentando, con rigore giuridico, le violazioni del diritto internazionale a Gaza, arrivando a definire la situazione un “genocidio in corso”. Non parole di militanza, ma analisi supportate da dati, riscontri concreti e norme internazionali.
In tale contesto ha, inoltre, svelato la complicità di 48 aziende che lucrano direttamente sull’occupazione. Imprese operanti in settori chiave quali telecomunicazioni, tecnologia, finanza e infrastrutture.
È proprio questa fedeltà al mandato che ha reso la sua voce insopportabile per Washington e Tel Aviv.

“L’attacco a me non è solo un attacco a me, è un attacco alle Nazioni Unite”, ha sottolineato. Mentre altri governi le hanno espresso solidarietà, da Roma è arrivato solo silenzio. “Nessuno del governo mi ha chiamato. In un ordinamento costituzionale ci si aspetta che l’organo preposto a difendere la Costituzione si pronunci su un provvedimento senza precedenti come questo. Spero che gli italiani si rendano conto di quello che sta succedendo nel Paese”.

Una domanda sorge allora spontanea: se chi mette in luce la tragicità di un evento diventa nemico, quale mondo resterà quando persino l’onestà del vedere diventa un crimine?

Oggi Francesca Albanese paga un prezzo altissimo.
Il suo racconto diviene, al contempo, attestazione e monito: ci ricorda che i diritti umani non si difendono a colpi di slogan, ma con il coraggio di nominare le ingiustizie.
E se questo agire diventa “reato”, allora è il concetto stesso di democrazia a essere sotto processo.

Mara Cozzoli

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