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A Gaza si muore, di fame

Scrivo con tutta la rabbia che ho in corpo, con il disgusto che mi invade.
Scrivo perché sono umana, e zitta non ci so stare.

A Gaza, i bambini si spengono in silenzio, non solo per una bomba o sotto le macerie.
Muoiono di fame, letteralmente: occhi vuoti e pelle che si aggrappa alle ossa.
I sopravvissuti soccombono a stomaco vuoto, intrappolati in una striscia di terra che è diventata una gabbia. Non per una carestia, non per un’emergenza naturale, ma per una punizione.
Una repressione, lucida, imposta e voluta.
I camion non passano. I soccorsi non arrivano. Nessuno entra, nessuno esce. I giornalisti muoiono, le loro voci scompaiono insieme alle storie che non potremo leggere. Quelle che disturberebbero il nostro sonno e smonterebbero la fragile impalcatura della diplomazia.

Intanto, i bombardamenti continuano. Rifugi, scuole, punti di distribuzione del pane, nessun luogo è escluso.
Qui si aspetta solo un altro scempio, folle e gratuito. Gli aggettivi per descrivere sono ormai finiti.
Il cibo, a Gaza, esiste, ma costa la vita.
Circola nel mercato nero – come riportato dal Corriere della Sera – dove un chilo di farina può costare 25 euro.

La chiesa cattolica di Gaza è stata colpita. Un luogo di culto, di rifugio, di preghiera. Sventrato da un raid israeliano. La spiegazione ufficiale: “un errore”. Il punto è: quale sbaglio può giustificare il bombardamento di una chiesa in un territorio sotto assedio? Non è un’eccezione: è solo l’ennesima conferma che non esistono più zone sicure. Nemmeno per chi prega. Nemmeno per Dio.
Il dottor Hussam Abu Safiya è detenuto da mesi, senza accuse né processo.
È un pediatra, direttore dell’ospedale Kamal Adwan nel nord della Striscia di Gaza.
Il 27 dicembre 2024 viene arrestato dall’IDF, da allora è trattenuto in Israele, senza che siano mai stati resi noti i motivi della sua detenzione. Amnesty International chiede il suo rilascio immediato.

E nel frattempo, si cerca il modo più “equilibrato” per definire un crimine, anche se, in fondo, non c’è più nulla da sfumare. Ogni valutazione oggettiva e confutata, se taciuta e non espressa, diviene complicità.

La fame è pianificata, non è una conseguenza, bensì un’arma usata deliberatamente contro civili confinati.

Nel cuore dell’inferno non può mancare un “premio”
A Matteo Salvini è stato conferito il riconoscimento “Italia-Israele” per le sue “posizioni coraggiose”. Una sorta di onorificenza assegnata mentre migliaia di persone vengono private del cibo, dell’acqua e della possibilità stessa di resistere.  
Nel momento in cui un’intera popolazione viene cancellata, omaggiare il sostegno a tutto questo non è solo fuori tempo, è un gesto osceno. Un insulto alla dignità umana.

La storia non dimentica. E ci chiederà il conto.
Questo è uno sterminio organizzato. Un genocidio.

I manifestanti in lutto reagiscono accanto ai corpi dei palestinesi uccisi mentre cercavano di raggiungere i camion degli aiuti umanitari che entravano nel nord di Gaza attraverso il valico di Zikim con Israele, presso l’ospedale Shifa di Gaza City, domenica 20 luglio 2025. (AP Photo/Jehad Alshrafi)




Immagine in evidenza
Un bambino palestinese attende il cibo donato in una mensa comunitaria a Gaza City, nella Striscia di Gaza settentrionale, lunedì 14 luglio 2025. (AP Photo/Jehad Alshrafi)

Mara Cozzoli

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