
“Stanno spingendo l’Europa verso il baratro del riarmo”. Intervista a Gaetano Pedullà
A margine dell’iniziativa contro il riarmo indetta a livello nazionale dal Gruppo Giovani del Movimento 5 stelle svoltosi anche a Seregno domenica 15 giugno, ho avuto il piacere di incontrare Gaetano Pedullà giornalista, ex direttore e fondatore del quotidiano “La Notizia”, oggi Europarlamentare ed esponente del Movimento 5 Stelle, che ha analizzato con fermezza il tema più caldo del momento: la corsa europea al riarmo.
Un’intervista che attraversa politica, comunicazione, welfare, povertà e diritti, con un unico filo conduttore: la difesa della democrazia nella sua materialità.
Situazione riarmo: a che punto siamo?
La situazione è drammatica. Stiamo assistendo a una corsa rapida verso la dotazione finanziaria per l’approvvigionamento di armi nei singoli Paesi, così come previsto e sollecitato dalla Commissione guidata da Ursula Von Der Leyen. Il nostro tentativo di fermare questa follia trova forti resistenze: dalle lobby, dal mondo politico, da chi ha interessi enormi nel settore. In questo contesto, c’è chi pensa che l’Europa non abbia altra scelta se non armarsi fino ai denti per respingere l’invasione di un presunto nemico che sarebbe alle porte.
Mi tolga una curiosità: chi sarebbe questo nemico? Sembra che “l’urgenza” di difendersi venga usata come scusa per giustificare ogni azione.
Non lo abbiamo capito. Chi è questo nemico? I marziani? La verità è che questo “nemico” è uno spauracchio utile ad alimentare la spesa bellica e sostenere un modello di sviluppo basato sulle armi.
Il caso tedesco è emblematico: si parla di una spesa militare fino a 1000 miliardi in dieci anni. Una logica che ci allarma. Stiamo sprecando risorse che sarebbero fondamentali per investimenti davvero produttivi.
Il welfare, ad esempio.
Esattamente. Parlo di spesa sociale, infrastrutture, transizione energetica e digitale. Chi afferma che si può investire in armi senza sottrarre fondi ad altri settori mente sapendo di mentire. In Germania, come in tutta Europa, stanno crescendo aree politiche di destra e estrema destra, con tendenze che definirei apertamente filo-naziste. Se queste forze in un futuro andranno al governo, in tutta Europa, ci sentiremo più sicuri sapendo di averle armate fino ai denti ?
Che senso ha, oggi, investire in armi, quando in Italia la sanità pubblica è in crisi, l’istruzione viene tagliata e la cultura è ai margini?
Chi sostiene questa direzione ripete che difendere libertà e democrazia è una precondizione imprescindibile. E quindi nulla è più urgente che investire in difesa. Ma questa è una visione completamente distorta.
Difendere la democrazia, però, significa anche garantire la funzionalità di settori essenziali.
Dietro questa corsa alle armi si nasconde una logica che non condividiamo e non condivideremo mai.
Nessuno convincerà il Movimento 5 Stelle che questa sia la strada per la sicurezza dell’Europa.
L’Italia ha sempre avuto una vocazione alla mediazione, alla diplomazia. È stata storicamente vicina ai Paesi in crisi. Quale Stato al mondo penserebbe di attaccare un Paese con cui ha buone relazioni?
La vera sicurezza nasce da rapporti costruttivi, dal dialogo. La diplomazia è la strada che l’Europa ha abbandonato, seguendo ancora una visione del mondo che mette Washington al centro e gli altri come vassalli. Questo modello non è più attuale. Ci sono nuove potenze: Cina, America Latina, Africa…
Gli Stati Uniti stessi si stanno ritirando da questo ruolo di “sceriffo globale”.
Qual è il rischio?
Il rischio è alimentare un caos geopolitico e militare fuori controllo. Il Medio Oriente è già incandescente. L’India e il Pakistan, la crisi nel centro Africa, il Nord Africa. Quando saltano gli equilibri, emergono nuovi soggetti, come il terrorismo. Lo abbiamo visto con la caduta di Gheddafi in Libia, e con Saddam Hussein in Iraq. Non possiamo armarci solo perché gli altri si armano. Se lo facciamo, alimentiamo l’escalation. E se queste armi verranno usate, prepariamoci a un conflitto mondiale senza vincitori. Se non le usiamo, diventeranno obsolete e resteranno chiuse negli arsenali. Ogni euro speso in armi è un euro sottratto alla crescita, alla ricerca, alla formazione, alle infrastrutture, ai trasporti, alla scuola, ai servizi.
In gioco ci sono interessi enormi.
Sì, si scontrano visioni del mondo e interessi economici potentissimi. In questi ultimi tre anni – dallo scoppio della guerra in Ucraina – settori come quello bellico, finanziario, assicurativo, energetico e farmaceutico hanno fatto profitti smisurati. Le destre e le sinistre tradizionali oggi appaiono in ritardo rispetto alla realtà.
Il mondo si sta dividendo tra chi vuole conservare lo status quo e chi vuole redistribuire risorse in modo equo.
Lei non pensa che ridurre in macerie settori come sanità e istruzione sia un attacco alla democrazia stessa?
Le democrazie oggi sono in profonda crisi. Negli Stati Uniti, per esempio, abbiamo visto l’amministrazione centrale mandare i marines contro i governatori degli Stati, oppure concedere la grazia a chi ha assaltato Capitol Hill. E non siamo così lontani da quella realtà. In tutto il mondo assistiamo a un’avanzata della destra, in forme sempre più autoritarie. Anche in Italia, Giorgia Meloni gode di un ampio consenso.
Il consenso si costruisce anche grazie alla comunicazione.
È uno schema molto efficace: si alimentano paure, si creano problemi complessi a cui si offrono soluzioni semplici.
Prendiamo il tema dei migranti. Non esiste nessuna invasione, i dati parlano.
Eppure si parla di blocchi navali, si costruiscono centri in Albania che costano milioni e non servono a nulla. È pura propaganda per rassicurare l’elettorato.
Quando non si sa come affrontare un problema, si usa un diversivo. Il migrante è spesso l’alibi perfetto.
Esattamente. Si sposta l’attenzione. Il migrante diventa il capro espiatorio per tutto. Nel frattempo, i problemi veri restano lì. È la solita routine della destra: creare nemici interni per distrarre.
Anche la comunicazione digitale ha cambiato le regole del gioco.
Assolutamente. La semplificazione estrema dei messaggi ha ridotto drasticamente la capacità di analisi.
I giovani non leggono più giornali. Facebook è considerato da “anziani”, Instagram lo ha sostituito, poi c’è X (ex Twitter) con il limite di caratteri, e TikTok. Tutto è costruito per catturare attenzione in pochi secondi.
Scrollando, si perde la gerarchia delle notizie. Si crea un’informazione senza profondità e senza controllo sociale.
La politica, di fronte a questa trasformazione, fatica a rispondere. I regimi sono più rapidi.
Le democrazie, invece, hanno costi, riti e necessitano di condivisione attraverso la base elettorale.
Ma questa lentezza, che dovrebbe essere una virtù, viene oggi percepita come un limite.
C’è una strategia deliberata nel deviare l’attenzione dai problemi reali?
È una prassi sistematica della destra: distogliere l’attenzione dai nodi strutturali – povertà, disuguaglianze, crisi dei servizi – per costruire nemici immaginari. Pensiamo al decreto Rave: un provvedimento simbolico Che non ha prodotto nulla. Oggi il manifesto più evidente è il nuovo decreto Sicurezza, che introduce 14 nuovi reati, mentre le nostre carceri versano in condizioni che sfiorano la tortura. Tutto questo serve ad accontentare un certo elettorato, offrendo l’illusione del controllo. Anche l’informazione viene piegata a questa logica: non solo quella digitale, ma anche quella tradizionale.
Parliamo di povertà, allora. Un’emergenza ignorata?
Le persone non arrivano più a fine mese. Le file alla Caritas e alle associazioni di volontariato sono sempre più lunghe. Le politiche di destra aiutano chi ha già, concentrano le risorse verso i più ricchi.
Hanno eliminato il reddito di cittadinanza, strumento fondamentale per chi vive in difficoltà.
E questo non solo al Sud: è al Nord che si allarga il divario tra ricchi e poveri. Chi nasce in certe condizioni oggi è destinato a restarci. Si bloccano gli ascensori sociali, si nega ai giovani la possibilità di studiare, di formarsi, di crescere. Il modello vincente diventa l’influencer o il criminale vestito di marca.
Anche il diritto alla casa è messo in discussione. Senza casa non c’è cittadinanza. Oggi un giovane fa fatica a pagare un affitto, figurarsi un mutuo. Si bloccano gli ascensori sociali. Il risultato? Il modello vincente diventa il criminale con l’orologio d’oro, o l’influencer superficiale. Mancano le case, gli affitti divorano i redditi. I giovani non possono studiare lontano da casa, gli ascensori sociali sono bloccati.
Il Paese è in ginocchio.
E per questo servono riforme profonde. Politiche redistributive vere. Invece di buttare 800 miliardi in armi, usiamoli per ridare speranza ai cittadini.
Sul riarmo torna alla mente la strategia israeliana: attacco preventivo a scopo difensivo, se così lo si può definire. Ma bombardare scuole e ospedali perché, forse, nascondono i terroristi di Hamas, impedire l’ingresso di aiuti umanitari in nome della difesa è inaccettabile. Nessuno scorda il 7 ottobre, però va ammessa la sproporzione della reazione di Israele, così come bisogna ammettere il genocidio in corso.
Siamo in pieno genocidio e Netanyahu è un criminale. Non ha solo da gestire le proprie sorti personali.
Quando fa riferimento a sorti personali, si riferisce all’accusa di corruzione e al mandato di cattura spiccato dalla Corte Penale Internazionale?
Sì, ma non solo. Netanyahu è vero è inseguito dalla magistratura per corruzione e dall’opinione pubblica per la gestione degli ostaggi. La Corte Penale Internazionale ha preso posizione. Sta allargando i fronti di guerra: Gaza, Libano, Cisgiordania, Yemen, Iran. Vuole imporre la sua egemonia su tutto il Medio Oriente, con il sostegno di molte forze politiche europee, tra cui il Governo Meloni. Dopo i bombardamenti in Iran, Meloni ha dichiarato: “Difenderemo Israele”. Ma lì, Israele è l’aggressore.
Aggressore/Aggredito.
Lo stesso discorso fatto al momento dello scoppio del conflitto Russia- Ucraina lo farei anche adesso nella vicenda Israele- Iran, sebbene l’Iran sia una teocrazia e per quanto nessuno sarebbe tranquillo se quest’ultimo diventasse una potenza nucleare.
Dovrebbe farlo anche per quanto riguarda Gaza perché lo scontro non è tra due eserciti, ma tra un esercito e la popolazione civile, bambini in primo luogo. Innanzi a questo doppio standard, abbiamo una situazione che sta favorendo un modello che in nome dell’imposizione di diritti democratici, di democratico non ha nulla perché alla base di uno Stato di diritto vi è il rispetto dei popoli vicini. Nel momento in cui Israele ha lanciato quell’attacco ha trasformato l’Iran in una bomba atomica.
Mara Cozzoli
