
La vicenda di Martina Carbonaro è una ferita che interpella la coscienza collettiva
Quanto accaduto a Martina Carbonaro ha lasciato un vuoto doloroso e profondo.
Ma oltre al lutto, questa vicenda ci costringe a fermarci e a porci domande fondamentali: cosa sta accadendo ai nostri giovani? Cosa si è incrinato nel rapporto tra le nuove generazioni e la gestione delle emozioni, dei conflitti, delle relazioni?
L’aspetto che colpisce con più forza, in questa tragedia, è la giovane età di chi ne è coinvolto.
Non si tratta di adulti segnati da un lungo passato difficile, bensì adolescenti e ragazzi appena maggiorenni.
E allora viene da chiedersi: quali strumenti stiamo offrendo ai nostri giovani per affrontare il rifiuto, la frustrazione, la perdita? Quanto spazio dedichiamo, nelle scuole, nelle famiglie e nei contesti sociali, all’educazione affettiva ed emotiva?
La violenza, quando esplode così presto e con così tanta rabbia, non è mai un fulmine a ciel sereno.
È quasi sempre il frutto di un terreno incolto, trascurato, spesso segnato da solitudini, pressioni culturali distorte e una mancanza di modelli positivi.
Viviamo in un tempo in cui l’apparenza vale più dell’ascolto, in cui l’identità si costruisce sui social prima che nel profondo, in cui “essere lasciati” può diventare una ferita narcisistica intollerabile, perché troppo spesso nessuno ha insegnato a gestire il dolore.
Martina è un simbolo doloroso di tutto questo: della precarietà delle relazioni giovanili, ma anche del bisogno disperato di una società che educhi all’empatia, al rispetto, al rifiuto come esperienza umana da accettare e superare.
Parlare di questa vicenda non è solo commemorare, ma agire: nelle scuole, nei centri sportivi, nelle famiglie, affinché il rispetto non sia un concetto astratto, ma un seme piantato con pazienza fin dai primi anni.
Non servono solo leggi più dure, servono coscienze più forti.
E serve farlo, adesso, perché ogni ragazza e ogni ragazzo abbia diritto non solo alla sicurezza, ma a un futuro in cui amare e essere amati non diventi mai una minaccia.
E tuttavia, per quanto sia urgente e necessario meditare sul contesto che ha reso possibile questa tragedia, non possiamo dimenticare un altro aspetto fondamentale: la giustizia.
Chi ha tolto la vita a Martina deve rispondere delle proprie azioni e scontare la propria pena.
La responsabilità individuale non può essere oscurata da alcuna forma di disagio.
Solo così potremo dare un segnale chiaro: comprendere le fragilità non annulla le conseguenze degli atti commessi.
Mara Cozzoli
