Disturbo psichiatrico in età adulta. Intervista a Gaspare Palmieri, psichiatra e psicoterapeuta.
Ne soffre circa il 20% della popolazione adulta, ma quali sono gli elementi che caratterizzano il disturbo psichiatrico e quali possono essere i fattori scatenanti?
Dialogo, oggi, con Gaspare Palmieri, psichiatra e psicoterapeuta.
Proviamo a dare una definizione di disturbo psichiatrico in funzione degli elementi che lo caratterizzano.
Non è facile rispondere in modo esaustivo a una domanda apparentemente semplice, ma allo stesso tempo complessa. Partirei dalla definizione di salute psicologica dell’OMS, una condizione in cui “l’individuo è in grado di usare le proprie capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni”. Il disturbo è una forma di sofferenza mentale, che può essere consapevole o inconsapevole e che può presentarsi attraverso dei sintomi psicologici o anche comportamentali. Il disturbo può in varia misura alterare il funzionamento relazionale, affettivo, sociale, lavorativo della persona. Può essere coinvolta anche la sfera cognitiva e della regolazione degli stati emotivi. Ci sono disturbi transitori o reattivi, che magari possono presentarsi come semplici episodi nella vita di una persona e altri disturbi che invece assumono un andamento cronico o ricorrente. Il disturbo può in varia misura coinvolgere il carattere della persona ed in quel senso parliamo di disturbi della personalità. Fra i disturbi psichiatrici vengono compresi anche i disturbi che hanno a che fare con il discontrollo degli impulsi (ad esempio la cleptomania o il gambling) e le dipendenze.
L’aspetto a mio avviso più cruciale dei disturbi psichiatrici è che, oltre alla grande sofferenza soggettiva che determinano nella persona e quasi sempre nei famigliari, spesso rappresentano un ostacolo alla libertà di vivere in modo autonomo e soddisfacente e anche per quello vanno curati, per restituire alle persone questa libertà.
Quando parliamo di disturbo psichiatrico nell’adulto, a quale fascia di età facciamo riferimento?
L’età adulta viene considerata dai 18 anni in su e anche i Servizi Psichiatrici fanno riferimento a quell’età, prima il riferimento è il Servizio di Neuropsichiatria infantile.
Nel momento in cui si manifesta, per l’appunto, in età adulta è indice di un malessere che, protratto nel tempo, inevitabilmente esplode? Magari, un malessere che ci si portava dietro dall’adolescenza?
Non necessariamente. Ci sono disturbi che esordiscono nell’infanzia o nell’adolescenza e si protraggono nell’età adulta, mentre altri esordiscono direttamente in età adulta. La maggior parte dei disturbi psichiatrici, come l’ansia e la depressione hanno solitamente un’eziopatogenesi complessa che comprende una suscettibilità genetica o biologica a sviluppare il disturbo, a cui si aggiungono fattori psicologici o ambientali e in generale gli eventi di vita.
In funzione della tipologia di disturbo, come vengono classificati?
Secondo il DSM-5, il sistema classificatorio americano delle malattie mentali, attualmente più utilizzato, ma anche secondo la pratica clinica le macroaree principali dei disturbi sono: disturbi d’ansia, disturbi dell’umore, disturbi psicotici, disturbi della personalità, disturbi del comportamento alimentare, disturbi da abuso di sostanze.
Tenendo conto che ogni storia è una storia a sé, quali possono essere i fattori scatenanti?
Tenendo in mente il modello biopsicosociale è importante il concetto di vulnerabilità individuale. Lutti e perdite (anche di ruolo), malattie fisiche, problemi di coppia e separazioni, problemi lavorativi o licenziamenti, cambiamenti inaspettati, problematiche relazionali ed eventi stressanti in genere sono ad esempio tutti fattori che possono favorire l’insorgenza di problematiche psichiatriche in persone predisposte a sviluppare tale tipo di disturbo. Sottolineo che c’è una grande variabilità individuale nella risposta allo stesso evento ed ogni persona possiede aspetti di vulnerabilità, ma anche risorse protettive che lo tutelano dall’insorgenza di questi problemi.
Quali sono i primi campanellini d’allarme indicativi del fatto che qualcosa inizia a non funzionare?
Possono essere diversi in base al tipo di disturbo. Ad esempio alterazioni del sonno, dell’appetito, irritabilità, stanchezza, senso di mancanza di energia, sono tutti aspetti che possiamo trovare ad esempio in una persona stressata, che se non si cura o non riesce a recuperare, può andare incontro a un vero e proprio disturbo, come un disturbo d’ansia o a un disturbo dell’umore. Il riconoscimento precoce dei segnali di disagio è fondamentale anche nei pazienti che hanno una diagnosi di disturbo depressivo o disturbo bipolare. In questi casi le persone vengono invitate a rivolgersi allo psichiatra quando notano alterazioni del sonno, dell’umore in modo tale da intervenire prima che si presenti la ricaduta.
Come si giunge a una diagnosi?
La diagnosi solitamente è fatta attraverso una visita psichiatrica, ma anche uno psicoterapeuta o il medico di base possono contribuire a un inquadramento diagnostico. Talora possono essere necessari test psicomentrici, fatti solitamente dallo psicologo. Altri esami strumentali sono utili solo nella diagnosi differenziale con patologie organiche
Personalmente, quale tipo di percorso psicoterapico attua sul paziente e in che modo il trattamento farmacologico incide facendo da supporto a quest’ultimo.
Ho una formazione cognitiva costruttivista e sono un istruttore di mindfulness. Uso tecniche di psicoterapia cognitivo comportamentale e tengo gruppi di midnfulness. Il trattamento farmacologico si rende necessario solitamente quando i sintomi sono particolarmente difficili da sopportare e impattano in modo pesante sul funzionamento relazionale e socio-lavorativo del paziente. In alcuni disturbi come ad esempio le psicosi, il disturbo bipolare o la depressione maggiore, la terapia farmacologica è indispensabile, spesso in associazione alla psicoterapia.
In altre condizioni, come i disturbi d’ansia dipende dalla gravità del quadro e dalla compromissione del funzionamento relazionale e socio-lavorativo del paziente. In questi ultimi casi a volte può essere sufficiente la psicoterapia, magari integrata alla pratica di mindfulness o una terapia farmacologica da prendere solo per brevi periodi.Ci sono casi in cui il trattamento farmacologico è necessario per permettere alla persona di sopportare la psicoterapia, che rendendoci consapevoli dei nostri problemi o aiutandoci a rielaborare certi traumi (tornandoci in qualche modo a contatto), può talvolta anche fare peggiorare certi sintomi.
A volte, medici di base prescrivono psicofarmaci ai pazienti, senza che vi sia una diagnosi e senza che il paziente sia seguito da figure competenti quali psichiatri e psicoterapeuti. Quali danni ne possono derivare?
Dipende molto dal medico. Alcuni preferiscono inviare subito allo psichiatra, altri si sentono più in grado di prescrivere, soprattutto nei casi meno gravi. Non credo ci voglia a tutti i costi la specializzazione in psichiatria per consigliare ad esempio una benzodiazepina per un breve periodo, l’importante è poi ricordarsi di sospenderla dopo un mese perché può dare dipendenza e sapere ovviamente come farlo. Alcuni medici di base hanno anche esperienza nella prescrizione degli antidepressivi. Sicuramente sarebbe auspicabile nel percorso di formazione dei medici di base maggiore attenzione alla psichiatria, vista la diffusione davvero notevole delle problematiche psichiatriche, oggi in netto aumento.
Cosa dicono i dati circa gli adulti che, attualmente, soffrono di un qualche disturbo?
Secondo gli studi soffrono di disturbi mentali circa il 20% della popolazione adulta, e circa il 15% degli adolescenti.
Spesso, affrontare un percorso terapico spaventa, altre volte non si ha consapevolezza del problema. Vogliamo affrontare questo discorso?
Si da una parte c’è ancora il problema dello stigma legato ai disturbi mentali, un’attitudine negativa della società che può talvolta condizionare l’accesso alle cure. Sicuramente negli ultimi anni si parla molto di più di salute mentale, anche grazie al coming out di personaggi celebri e ad eventi come la Giornata della salute mentale o la Settimana della salute mentale, che viene celebrata in diverse città. Sicuramente c’è ancora moltissimo da fare soprattutto per i più giovani. Il problema della consapevolezza del problema purtroppo si presenta spesso nei disturbi più gravi come le psicosi o le dipendenze e può comportare il ritardo nelle cure e forte preoccupazione nei famigliari e nelle persone vicine.
Per concludere, so che lei è anche cantautore e che sta portando avanti un progetto che vede la musica come strumento terapeutico. Ha voglia di parlarne?
Si da oltre dieci anni, insieme al mio collega Cristian Grassilli portiamo avanti il progetto Psicantria (www.psicantria.it) che da una parte ha la finalità di produrre canzoni psicoeducative che raccontino temi legati alla salute mentale con intento psicoeducativo ed antistigma, dall’altra ha la finalità di sperimentare le potenzialità dello strumento canzone in ambito terapeutico. Negli ultimi anni teniamo laboratori di ascolto di canzoni e songwriting in un centro per i disturbi alimentari e le utenti rispondono sempre con entusiasmo a questo tipo di attività.