I super batteri. Una minaccia da combattere. Intervista a Fabrizio Pregliasco, virologo e Direttore Sanitario IRCCS Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio.
Dai giorni bui dell’emergenza sanitaria che ci ha colpito, passando alla speranza di una maggiore consapevolezza collettiva, per giungere, infine a “I Super Batteri. Una minaccia da combattere“.
Dialogo, oggi, con Fabrizio Pregliasco, virologo, Direttore Sanitario IRCCS Ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio e Professore associato di Igiene Generale e Applicata presso la sezione di Virologia del dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano.
La prima fase della pandemia (che ha preso noi cittadini alla sprovvista) ci ha fatto conoscere la figura del virologo.
Come mai, inizialmente, i pareri, tra i virologi erano discordanti rispetto a quanto stava accadendo?
Allora, il discorso è ampio.
Diciamo che quest’emergenza ha mostrato, fatto conoscere e tastare, di fatto, ai cittadini i limiti della scienza che procede per tentativi ed errori.
In questo caso partivamo, davvero, con pochissime informazioni.
Le discordanze sono normali nell’ambito della ricerca scientifica, ne sono il sale.
Negli articoli noi diamo la nostra opinione e, insieme, facciamo ricerche che confutano oppure no queste ipotesi che, in seguito, diventano certezze, non totali, ma piccoli pezzetti di un puzzle che via via si forma.
Anche su quest’ultimo virus il puzzle complessivo non è ancora completo: effetti sul lungo termine ad esempio, o possibilità che possa riemergere con nuove variazioni.
I modus operandis della comunicazione, forse, non hanno aiutato. Qual è il suo pensiero?
Sicuramente, quello che c’è stato è un’ “infodemia“ all’interno della Pandemia: in epoca social e di mass media molto pervasivi, si è parlato tanto, forse, troppo e anche male di questo tema.
Per anni, H24, si è parlato di un solo argomento.
Sono stati usati i meccanismi della comunicazione tipici dei talk televisivi su scambio di opinioni, dove non essendoci più Agorà normali, come nei comizi, ora si fanno opinioni sentendo opinioni diverse.
Purtroppo, all’interno di queste modalità di comunicazione si sono inseriti dei comunicatori che, volutamente, hanno creato discussione o gettato pareri diversi, perché è qui il gioco di questo tipo di comunicazione.
Infine, si è inserito nei social quel complottismo e anti-scienza che pervade una piccola parte della popolazione.
Il fenomeno è presente già da anni a prescindere dalla pandemia, ma che ha stimolato coloro che ne facevano parte per far emergere, appunto, idee che vanno dal terra piattismo alla sfiducia verso le Istituzioni.
Anche ora continuiamo ad essere oggetto, personalmente, di haters sui social, di denuncie, addirittura, di danni per qualcosa che io ho detto.
Io dico che in quell’emergenza si è fatto il possibile, si sono fatte scelte difficili, scelte di equilibrio tra interessi diversi e contrapposti tra cui la parte sanitaria, quella economica (importantissima) e quella psicologica.
Le scelte, sono state politiche, con presupposti tecnici e, ovviamente, tutti i limiti del caso.
Va guardato anche oltre le colpe di chi ha dovuto prendere decisioni in situazioni emergenziali e fare una revisione come fanno in altri Stati per capire la lezione e portarla a casa per il futuro.
Ben venga se si scopre e si cerca, eventualmente, qualcuno che ha rubato come accade, spesso, in guerra e qui c’è stata un’economia di guerra, qualcuno ci ha guadagnato e qualcuno ci ha perso: lavoro, soldi, investimenti e attività professionali.
Una Pandemia che ha visto due fasi: una prima nella quale infermieri, medici e volontari sono stati i nostri eroi, una seconda nella quale, invece, sono stati considerati untori.
Secondo lei, cosa ha portato a questo passaggio?
Direi che è un fatto naturale direi di resilienza, di negazione di quella che era stata un’emergenza, ma anche di delusione: si è visto che la scienza non risolve.
Si ricorda gli arcobaleni, i “saremo tutti più buoni“?
Addirittura, in quel momento, ero presidente dell’Anpas-Pubbliche Assistenze Italiane e ho visto i volontari applauditi dai balconi, eravamo tutti bardati, stavamo mettendo a rischio la nostra stessa vita e poi, difficilmente, accettati sul posto di lavoro in quanto untori o potenziali soggetti contagiosi questo, proprio nella piccineria di alcuni e dei loro interessi.
Come sempre gli eroi si dimenticano e si nota, invece, l’opportunismo o l’egoismo di sopravvivenza di coloro che dicono: “Sì, l’angelo va bene, ma se è il mio vicino di casa, quello che incontro in ascensore, mi infastidisce”.
Siamo entrati in contatto con i batteri. Che cosa sono?
Siamo entrati in contatto con i micro organismi che sono spaventosi, in quanto invisibili e pervasivi a differenza di un tir che lo vediamo, magari non riusciamo a schivarlo, ma ne abbiamo accortezza.
Il Covid lo ha dimostrato, ha dato evidenza ai virus che sono un pezzo di DNA o RNA che si trasporta e sono parassiti assoluti tra cellule e cellule, con le difficoltà di trovare per il virus i farmaci o vaccini che, comunque, si sono realizzati in tempi rapidi.
Il Covid ha facilitato anche un’altra cosa, su un versante già più conosciuto e che speravamo, come scienza, di aver messo sotto silenzio, cioè l’altro versante, quello dei batteri che, invece, sono cellule che derivano da organismi unicellulari con una propria vita che colonizzano il nostro organismo entrando nei polmoni creando problemi alla respirazione, al fegato etc..
Quindi, i virus sono parassiti assoluti che sfruttano uomo e animali per trasmettersi e replicarsi, sfruttando, dunque, in modo bieco.
Il batterio, invece, trova il luogo giusto per replicarsi in parti del nostro corpo e questa è una fregatura.
Il guaio è che, mentre sui virus di antivirali ne abbiamo pochi, sui batteri abbiamo molti antibiotici.
Ci sono tante molecole, molti principi attivi e meccanismi d’azione per tanti batteri che portano buoni risultati, ma il danno è che questi antibiotici sembrano essere un po’ come lame che, ogni qual volta usate perdono il filo e, di conseguenza, devono essere usati con parsimonia e appropriatezza.
Ciò che si sta vedendo è che, molti di questi batteri, hanno capito come aggirare l’ostacolo, ovvero hanno preso coscienza dell’azione distruttiva di questi antibiotici… questo è un rischio per il futuro perché significa non riuscire a far fronte a gravi patologie e sepsi.
Abbiamo già batteri multi resistenti verso cui ci sono solo uno o due antibiotici di ultima spiaggia, cioè con azione bloccante.
La responsabilità di tutto questo è intrinseca all’antibiotico: esso deve esporsi al batterio che lo riconosce non appena lo vede e, di conseguenza, riesce a trovare soluzioni e alterazioni.
Una responsabilità, quindi, da spalmare su diversi livelli: ad esempio la colpa ce l’ha l’industria degli allevamenti che usa gli antibiotici in modo esagerato, non a fini curativi per gli animali, per farli crescere bene ma in pessime condizioni igieniche.
Ora c’è una maggiore responsabilità, norme di autocontrollo e servizio veterinario: la situazione è un po’ migliorata, ma in altre nazioni non sappiamo come vanno le cose.
A volte è colpa del medico che non segue la prassi corretta di prescrizione e somministra su richiesta del paziente, anche per malattie virali.
Errori sono anche a carico del paziente che sbaglia se non segue la posologia, cioè se non segue la tempistica e la durata della malattia.
Se il medico dice due volte al giorno per cinque giorni, bisogna arrivare al termine esatto.
Tante volte non appena si nota che l’antibiotico funziona in quanto si riduce la sintomatologia, si fa lo sbaglio di non proseguire, il batterio però c’è ancora e va continuamente bastonato per eliminarlo dall’organismo.
Se si finisce prima oppure si riduce la dose perché si salta, il batterio ha maggiore possibilità di contrastare l’antibiotico.
In sintesi si può dire che la responsabilità è di tutti.
La ricerca scientifica, ultimamente sta arrancando, dopo anni nei quali abbiamo fatto tante scoperte.
Ci sono poche novità, per quello bisogna tenere a bada i batteri.
Veniamo a “I super batteri. Una minaccia da combattere“, il suo ultimo libro.
È un libro divulgativo scritto insieme a Paola Arosio, giornalista scientifica, al fine di affrontare, per l’appunto, il problema batteri attraverso un testo di saggistica, di storia.
Abbiamo voluto un libro di persone per rendere più appassionante l’argomento, non volevamo un contenuto strettamente scientifico concentrato su quali sono gli antibiotici o quali sono i batteri più cattivi.
Sono storie di malati e di ricercatori, raccontiamo come questi ultimi sono giunti alla ricerca e come sono arrivati a individuare dei problemi e come hanno cercato di affrontarli, il tutto contestualizzando.
Abbiamo narrato situazioni di rischio, batteri già conosciuti ma che diventano cattivi e super resistenti, un esempio è lo Stafilococco.. per questo li abbiamo chiamati Super Batteri.
Acquisiscono, dunque, maggior robustezza, capacità d’azione e capacità di schivare l’azione per l’appunto l’gire dell’antibiotico.
Attraverso il suo libro dona una speranza a noi lettori.
È una consapevolezza di tutti.
La persona, il lettore, anche se non è un tecnico, deve comprendere che il problema c’è, esiste e può peggiorare se non si attuano gli interventi di cui parlavamo prima: uso veterinario, responsabilità e competenza tecnica del medico che prescrive, ma anche del paziente nel seguire la cura.
Leggendo questo libro si fa cultura e si diffondono in modo positivo le informazioni.
Abbiamo diviso il libro in due: una parte di racconto, di storia e, nell’ultima parte tiriamo le somme sugli aspetti pratici.
Secondo lei, dato che sembra sia ancora poco chiaro: questa Pandemia cosa avrebbe dovuto insegnarci?
Che virus e batteri sono ancora tra noi, perché li davamo per scontati.
Che la natura ci frega, che noi la seguiamo e che dobbiamo tenere conto di una serie di comportamenti che ci scordiamo perché li riteniamo scomodi o difficili.
Che la natura può produrre altre pandemie, basta tornare indietro nel tempo e, ancora una volta la storia è maestra: il medioevo e la peste, un evento che ha visto tante persone falcidiate, però da questa disperazione c’è stato un ritorno alla vita.
Vanno evidenziati gli aspetti di solidarietà, di equità che devono esserci: i vaccini li abbiamo presi, soprattutto noi, altre nazioni se li sono sognati.
Come ha vissuto i giorni di Pandemia?
Beh, una bolla di anni con un tempo sospeso perché ha visto le mie passioni e la mia vita tutte insieme in crisi.
Amo la mia vita su tre fronti: quello del volontariato, in quanto sono volontario da quarant’anni presso “Rho Soccorso“ che fa parte dell’Anpas – Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze- che comprende quasi mille associazioni, quello della direzione di un ospedale che si è messo in prima linea nella assistenza ai pazienti Covid e l’attività di laboratorio all’università Statale di Milano.
Chi si occupa di medicina preventiva si occupa di vaccini, li studia, come ho fatto io, non mi sono improvvisato.
Ho aggiunto l’attività di divulgazione scientifica preventiva, senza nessun compenso, ma ricevendo aggressioni.
Infine, spieghiamo, nonostante, sia stato più volte ribadito, perché è importante vaccinarsi e la mancanza di senso rispetto alle tesi complottiste dietro ad esso.
Precisiamo, nuovamente, il gesto di responsabilità civica dietro la scelta di vaccinarsi.
Sui vaccini abbiamo sempre avuto una fetta di popolazione dubbiosa perché vi è un problema intrinseco di accettabilità.
Se noi abbiamo un mal di testa feroce, sfido chiunque ad andarsi a leggere il bugiardino, il farmaco fa male comunque, però qui c’è un evidenza: sto male, ho mal di testa e voglio risolvere il problema, prendo la pillola così sto meglio anche se, ogni tanto, capitano gli effetti collaterali.
Il vaccino, invece, si fa mentre si è sani, difronte a qualcosa che, magari, a qualcuno può sembrare non grave: perché devo iniettarmi qualcosa nel corpo che potrebbe farmi male?
Se sento rumors che mi dicono che possono morire blu tra cinque minuti, ho un ulteriore dubbio.
Il vaccino è un utilità per se stessi, perché ci evita la malattia, è un’utilità per la nostra famiglia e per la comunità, perché quanto più ci si vaccina più si protegge la comunità di cui si fa parte.
Ci possono essere eventi avversi ma non sono così pesanti, il rischio beneficio è a vantaggio dell’uso.
Si dice che questo vaccino è nato in poco tempo e senza abbastanza conoscenze: questo è sbagliato perché la ricerca ha dimostrato di essere in grado di andare avanti.
La tecnica Dem RNA utilizzata per i vaccini da Covid-19 è ben conosciuta in quanto studiata da più di 10 anni e gli investimenti dedicati a quest’emergenza hanno permesso di velocizzare un processo di sviluppo che procedeva a rilento.
Non è vero che il vaccino modifica il DNA, conosciamo bene i meccanismi.. miliardi di dosi lo hanno dimostrato.