sabato, Luglio 27, 2024
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Come e dove nasce la Resistenza in Italia? Intervista a Ardemia Oriani, responsabile ANPI sezione Milano.

Siamo figli dei tempi che furono e la storia è custode di un lungo tragitto. 
Storia, madre del futuro e voce di memoria. Dialogo, oggi, con Ardemia Oriani, Segreteria ANPI Provinciale di Milano.

Camminiamo attraverso la storia, partendo dalla nascita del fascismo al 25 aprile.

Milano è la città dove il fascismo ebbe origine attraverso la fondazione dei Fasci italiani di combattimento nel marzo 1919, ed è stata anche la città dove il fascismo fu, principalmente, sconfitto.
Con la tristemente famosa Marcia su Roma, Il 28 ottobre 1922 migliaia di fascisti si diressero verso la capitale minacciando la presa del potere con la violenza. Il governo dichiarò lo stato di assedio, ma il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmarlo e diede successivamente l’incarico a Benito Mussolini di formare il nuovo governo.
Dal suo sorgere, via via, il regime attuò atti e leggi che ridussero gradualmente i diritti e la libertà.  Gli unici sindacati riconosciuti erano quelli fascisti. L’attività di censura fascista in Italia e di controllo sistematico della comunicazione e in particolare della libertà di espressione, di pensiero, di parola, di stampa portò alla chiusura di diverse testate giornalistiche.
Tutto ciò andò di pari passo con un crescendo di atti violenti in tutto il Paese ad opera delle squadre fasciste, dette anche camicie nere.  Vennero attaccate sedi delle Camere del Lavoro, di cooperative, case del popolo con saccheggi, distruzioni e incendi, e anche sedi di giornali, come successe con l’assalto e la devastazione del quotidiano socialista Avanti a Milano.
Con la istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni il regime totalitario nel 1939 proseguiva la costruzione dello Stato fascista, con la soppressione della Camera dei deputati.


Al fascismo corrispose, quasi da subito, un primo antifascismo.

Sì, ebbe vita grazie a coloro che si resero quasi subito conto della pericolosità del fascismo. Penso a Antonio Gramsci, che subirà un lungo periodo di carcere, a Luigi Sturzo, Piero Gobetti, Filippo Turati, Arturo Labriola, a Giacomo Matteotti che sarà assassinato, così come ai Fratelli Carlo e Nello Rosselli anch’essi assassinati.
È un primo periodo di cui si parla meno ma è importante, racconta di persone che, anche loro discapito, espressero il loro dissenso su ciò che avveniva in Italia, e tentarono di organizzare la prima attività antifascista.

Partigiani sfilano per le vie di Milano.

Come organizzaronoil loro agire?

Si incontravano e agivano ovviamente in clandestinità. Era l’inizio di una analisi comune e di una prima reazione ad un regime dittatoriale, non c’era una precisa organizzazione.
Questo solo per dire che la Resistenza vera e propria nasce dopo l’8 settembre 1943.
Dopo le dimissioni di Benito Mussolini da capo del governo, avvenute il 25 luglio del 1943, il suo arresto e il conferimento dell’incarico di formare il nuovo governo al Generale Badoglio, l’Italia festeggia.  Famosa è la pastasciutta antifascista offerta dalla famiglia dei fratelli Cervi ai cittadini del loro paese. Si pensava che il fascismo fosse finito. Da allora, ancora oggi, il 25 luglio di ogni anno viene cucinata e condivisa con gli altri cittadini del quartiere in molte città italiane. 
Si costituì, invece, la Repubblica Sociale Italiana, anche conosciuta come Repubblica di Salò.  Fu un regime collaborazionista della Germania Nazista, voluto da Adolf Hitler e guidato da Benito Mussolini, al fine di governare parte dei territori italiani controllati militarmente dai tedeschi, dopo l’armistizio.
Iniziò così il periodo più duro e cruento del fascismo che utilizzò la violenza, l’incarcerazione, e la deportazione nei campi di sterminio degli ebrei, già colpiti dall’entrata in vigore delle leggi raziali del 1938, e degli oppositori politici del regime tra cui molti operai “colpevoli” di aver partecipato agli scioperi del marzo ’43 e del marzo ’44.
La Resistenza nacque con l’organizzazione di gruppi di partigiani in montagna, e gruppi che agivano all’interno dei quartieri della città, cui si affiancò la resistenza non armata, civile e sociale portata avanti particolarmente dalle donne.

Qual era la situazione dell’Italia precedentemente all’8 settembre?

Oltre alla privazione della libertà, le condizioni di vita degli italiani e delle italiane erano disastrose. Si viveva sotto i bombardamenti, si soffriva la fame.

Poc’anzi ha parlato della Resistenza soprattutto non armata abbracciata dalle donne: un punto molto interessante in quanto rappresenta l’uscita di quest’ultima dall’ombra.
Un percorso che porterà al suffragio universale e alla Costituente della quale anch’esse fecero parte.
Com’è avvenuto il loro accesso alla Resistenza?

Gli uomini dovettero scegliere tra l’entrare in guerra a fianco dei fascisti e dei nazisti, o abbracciare la lotta armata contro un regime divenuto insostenibile.
Anche molti militari italiani si opposero al regime, pagando un prezzo molto alto, come avvenne nell’eccidio di Cefalonia, o con la deportazione dei militari catturati dopo l’8 settembre in Italia e su tutti i fronti di guerra, che tenendo fede al giuramento prestato all’Italia furono deportati in Germania. In totale furono circa 700mila.  Oltre 50mila morirono nei campi, altrettanti al ritorno in patria per malattie contratte in prigionia.
L’accesso alla Resistenza per le donne è stato però diverso rispetto a quello degli uomini. Non erano chiamate ad entrare in guerra come avvenne per gli uomini. La loro adesione alla Resistenza, per altro molto convinta, derivò da quanto avevano subito sotto il regime.
Il regime fascista, infatti, penalizzava il lavoro femminile e il ruolo delle donne nella società, riducendole a un’unica dimensione: quella della madre, angelo del focolare. L’aborto e la diffusione degli anticoncezionali erano reati contro la collettività e contro lo Stato, perché considerati comportamenti contro lo sviluppo della razza italiana.
Vennero poste in una posizione subordinata rispetto all’uomo, dovevano fare figli rispetto ai quali non possedevano la patria potestà, che era esercitata esclusivamente dall’uomo.Le donne che entrarono nella Resistenza svolsero prevalentemente il ruolo di staffetta.  
Avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie, reperivano informazioni sul nemico, trasportavano armi.
Se le avessi ascoltate quando erano in vita, le avresti sentite dire: “Se fossimo state uomini, saremmo state chiamate ufficiali di collegamento “.Vi furono donne che decisero di partecipare alla lotta armata. La loro era, come l’hanno definita “una guerra alla guerra”. Il loro obiettivo era la libertà, la pace, la democrazia, l’uguaglianza, la giustizia,
C’erano donne che facevano una Resistenza non armata, nelle città dove vivevano, attraverso una rete clandestina denominata “Gruppi di difesa della donna per l’assistenza ai combattenti per la libertà” (GDD). Una importante organizzazione di massa di carattere unitario.  
I GDD nascono a Milano dalla idea di cinque donne: Lina Fibbi, Giovanna Barcellona, Ada Gobetti, Lina Merlin, Rina Picolato.
I gruppi di difesa della donna non si limitarono solo alla assistenza dei combattenti per la libertà Organizzarono nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nei villaggi la resistenza al tedesco, il sabotaggio della produzione, il rifiuto di consegna dei viveri e delle provvigioni, preparano le donne a combattere a fianco dei lavoratori, fecero manifestazioni di protesta contro la leva della Repubblica Sociale Italiana a le deportazioni in Germania.
Dal novembre 1943 fino al 25 aprile 1945 organizzarono in tutto il Nord Italia settantamila donne. I GDD riuscirono ad essere ufficialmente riconosciuti dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
La decisione delle donne di scendere in campo, di entrare nella Resistenza sia essa armata, sia civile, sia sociale, aveva anche una forte motivazione emancipatoria, che continuerà dopo la liberazione con la partecipazione alla Costituente e alla stesura del testo della Costituzione Italiana, in cui si evince chiaramente il contributo dato dalle così dette Madri Costituenti.

Piazza Duomo, Resistenza

Concentriamoci, un attimo, sulla figura degli oppositori.

Tutti coloro che erano contrari al regime, i partigiani, gli oppositori politici, o semplicemente gli operai che scioperavano, potevano essere arrestati e incarcerati, e in molti casi rischiavano la vita. Proviamo a pensare alla Milano di allora, era piena di grandi luoghi di lavoro con migliaia di operai  (Falck, Magneti Marelli, Pirelli, etc.) o di operaie, come nel caso della Borletti, la cui manodopera era in larghissima parte femminile, e dove la partecipazione delle donne allo sciopero fu notevole.
La rivendicazione degli scioperi del marzo 1943 fu prevalentemente sociale: pane e condizioni dignitose di lavoro, Il cibo era già stato razionato da alcuni anni e si ritirava attraverso la “tessera annonaria ”.
Ci si nutriva, per fare un esempio, con una zuppa, ed era difficoltoso, fisicamente, sostenere una giornata di lavoro.
Lo sciopero generale del 1944 unico nell’Europa occupata dai nazisti, ebbe invece caratteristiche più politiche. Accanto al tema del cibo, delle condizioni di lavoro e dei salari si chiedeva pace e libertà.

Perché la Resistenza si sviluppa al Nord?

L’Italia del centro-sud era già stata liberata dagli alleati. Il Nord era ancora dominato dai nazisti e dai fascisti.
Qui si sviluppò la Resistenza, sotto la guida del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) di cui facevano parte tutte le forze politiche antifasciste.
Senza la Resistenza e la liberazione del Nord non avremmo sicuramente riconquistato la libertà e riunificato un Paese diviso, e sarebbe stato più oneroso per l’Italia il Trattato di Pace da sottoscrivere, nonché il percorso che ci ha consentito di diventare uno dei Paesi più sviluppati d’Europa.

Quali conseguenze ne derivarono?

Gli oppositori politici venivano arrestati, torturati, fucilati o deportati nei campi di concentramento e di sterminio.
Gli operai che parteciparono agli scioperi del marzo 1943 e del marzo 1944 subirono una pesante rappresaglia. I tedeschi assieme ai fascisti vollero dare loro una lezione per aver osato fermare l’attività della fabbrica. Centinaia di operai milanesi furono deportati nei campi di concentramento e molti vi trovarono la morte. Gli uomini furono portati nei campi di sterminio di Mauthausen, le donne in quello di Ravensbruck.
Al Parco Nord, ad esempio, dove recentemente hanno distrutto una staccionata, e con i suoi legni hanno realizzato una grande svastica esposta nel prato in cima al Parco, vi sono le teche contenenti le ceneri di tanti operai delle fabbriche della zona deportati e uccisi nei campi di sterminio.
Pochi di coloro che furono deportati, e tra questi anche i così detti IMI (internati militari italiani) fecero ritorno a casa, tant’è che la posa delle “Pietre d’inciampo”, progetto europeo dell’artista tedesco Gunter Demnig ha il senso di “ricondurre a casa” le persone che non ebbero una tomba. Sulla pietra d’inciampo c’è inciso nome, cognome, luogo e data di nascita, e di morte.

Giovanni Pesce e Onorina Brambilla

Rende anche dignità all’essere umano.

Certo, viene data loro in un certo senso la mancata sepoltura. La posa della pietra d’inciampo sul marciapiede davanti alla casa dove abitavano rende visibile ciò che è stato, di fronte a un tentativo negare l’atrocità dei campi di concentramento e riscrivere in questo modo la Storia.
Tra l’altro, voglio rammentare che la deportazione italiana è stata sia quella degli ebrei portati a Auschwitz, sia quella degli oppositori al regime portati a Mauthausen.

La Resistenza però non ha vinto da sola.

Ha vinto perché c’è stata una forte rete di sostegno, cittadini delle città e della campagna, lavoratori nelle fabbriche, degli uffici e negli ospedali.
A Niguarda, ad esempio, vi erano medici e infermieri che per salvare i partigiani feriti che venivano ricoverati, li facevano risultare defunti e li aiutavano a fuggire.
Il 25 aprile 1945 avviene la liberazione di Milano.
Il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia ordina l’insurrezione generale di tutti i gruppi combattenti. A Milano arrivano, in una città in sciopero, i partigiani dall’oltre Po Pavese guidati da Cino Moscatelli e dalle altre zone circostanti.  
Sui giorni dell’insurrezione e della liberazione di Milano il comandante partigiano Giovanni Pesce, figura storica della Resistenza scrisse un libro, di fatto un resoconto, attimo per attimo di quei momenti.
La Resistenza, ci tengo a precisarlo, ebbe una caratteristica fortemente unitaria.

Esatto, spesso capita, ancora, di vederla legata al solo partito comunista. In realtà specifichiamo che vi hanno partecipato appartenenti a diverse componenti politiche, ma lo scopo era unico.

Certamente il Partito Comunista era il meglio organizzato, anche nei luoghi di lavoro, ma la Resistenza vide la partecipazione e l’impegno unitario di molteplici orientamenti politici: comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani, anarchici, in maggioranza riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale. Al di là del differente pensiero politico, le linee guida della Resistenza furono condivise, e le diverse forze politiche che avevano fatto la Resistenza parteciparono a guerra finita alla Costituente e alla definizione della Costituzione Repubblicana.
Finita la guerra vi fu il problema della ricostruzione fisica, economica, sociale, politica e istituzionale del Paese. Quest’ultima avvenne per l’appunto attraverso la Costituente e la Costituzione e, ci tengo a dirlo al diritto al voto da parte delle donne.

Diritto di voto che è stato una conquista.

Certo, non è stato regalato. Tra i Paesi democratici Europei siamo stati tra gli ultimi ad avere avuto il diritto al voto, sia attivo sia passivo, delle donne.
La partecipazione delle donne alla vita politica porterà tra l’altro alla stesura della Costituzione, attraverso un lavoro ed una discussione unitaria, la cui impronta femminile è visibile in una serie di articoli.
Nella prima parte della Costituzione, ad esempio, il primo paragrafo dell’articolo 3 recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Stesso discorso vale per il paragrafo successivo, quando esplicita che: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” La Costituzione, per concludere, divenne la formalizzazione giuridica del fatto che l’Italia è una Repubblica democratica e antifascista.

Cosa significa non essere liberi, secondo lei?

Non essere liberi significa non poter esprimere il proprio punto di vista, non essere liberi di agire, non avere libertà politiche, di religione, di stampa, di associazione, di partecipazione alla vita politica.
Su cosa significa essere liberi, per chi fa riferimento ai valori della Resistenza, libertà è “Io sono libero se chi sta attorno a me è libero. La libertà non è io faccio quello che voglio a prescindere“.

L’ANPI, oggi, con l’entrata delle nuove generazioni, sta vivendo un momento nuovo.

Nel 2006, dopo una lunga discussione, i partigiani decisero che L’ANPI, in quanto associazione che porta avanti i valori della Resistenza: libertà, democrazia, pace, solidarietà, uguaglianza, giustizia,   sarebbe stata utile per l’Italia  anche dopo di loro, e ne modificarono lo Statuto. Ciò per consentire a coloro che per età non hanno partecipato alla Resistenza, e non sono partigiani ma antifascisti poiché hanno scelto di portare avanti i valori che erano stati alla base della lotta di Liberazione, di entrare nell’associazione anche ai massimi livelli. Da qui l’aumento degli iscritti e l’entrata nell’associazione delle nuove generazioni.
L’obiettivo è quello di creare un ponte tra memoria e futuro per costruire, sulla base dei valori originari, quel mondo migliore che chi aveva lottato per la libertà e la democrazia aveva iniziato a costruire.


Queste giovani generazioni che si sono associate all’ANPI, cosa cercano?

Sicuramente sono attratti dagli ideali, dall’immagine che gli viene riportata dai partigiani e dalla loro lotta per la libertà e la democrazia, e sicuramente dalla condivisione dei valori alla base della loro lotta, valori che portiamo avanti anche oggi.
Lottare per costruire una società migliore significa, per fare un esempio, lottare contro le mafie, e sicuramente lottare per la piena applicazione dei diritti sanciti nella Costituzione.
In poche parole lottare per la difesa e lo sviluppo della libertà e la democrazia in un Paese che sicuramente sta vivendo una fase delicata e per alcuni aspetti confusa.

Immagine in evidenza: Gruppi Di Difesa Della Donna


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