sabato, Luglio 27, 2024
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A gentleman in the word of art. Recensione all’imponente saggio dell’artista Mario Vespasiani.

“L’arte ha sempre avuto la capacità di riflettere la società, come di anticipare alcuni aspetti non ancora manifesti, conferendo a determinate opere un’aura visionaria, quasi mistica“.

In “A gentleman in the word of art“ Mario Vespasian apre uno sguardo sulle mille esperienze e sugli infiniti significati che ruotano intorno al mondo dell’arte, verità interne ed esterne, indossandole, infine, come fossero una seconda pelle, per travolgere, in seguito, coloro che entreranno in relazione con quanto proposto.
Nel saggio in esame, la figura dell’autore emerge in ogni sua sfumatura, dall’essenza fisica, tastabile che, accompagnato da Mara, sua Musa, in un simbiotico gioco di ruoli, intelligentemente, giocano con l’immagine, fino  a pervenire allo stadio intrinseco, non visibile, ma percepibile e, successivamente, riconoscibile da chi, osservando, si intercala nella concretezza del lavoro che contraddistingue l’artista e del quale egli stesso, inevitabilmente, è parte, del resto: Io sono la mia opera e la sua naturale contestualizzazione.
Perché una Musa ispiratrice è fondamentale?
Colui che al suo fianco possiede una fonte in grado di adoperarsi per animarne la quotidianità, spargendo amore, senza manipolare, ma persistendo e guidandolo nella creazione di una concreta visione, salvandolo dall’essere una fervida mente inascoltata, priva di sbocchi sul mare dell’esistenza e oscura al mondo, riesce a cogliere stati emotivi, dai più forti ai più banali, quelli derivanti, ad esempio,  da un tramonto, dalla pioggia che cade su un terreno arido o a una cometa d’agosto, emozioni che superano la soglia della realtà e fortemente legati all’immaginazione

Un percorso di 500 pagine circa, nel quale si interfacciano tra loro fotografie, raffigurazioni pittoriche e componente testuale, che vede quest’ultimo in prima battuta richiamare la storia dell’arte per proseguire con la grande denuncia circa il degrado mercenario e visivo nel quale questo settore, giorno dopo giorno  è scivolato e concludersi con l’intreccio tra psicologia, potere del colore e spiritualità, tre elementi che, appunto, presi nel loro insieme, rendono Mario simile a Vasilij Kadinskij, le cui melodie pittoriche e trasporto si evocano e intrecciano, coinvolgendo l’individuo nell’intima ed estatica congiunzione con l’universo.
Un volume, un viaggio che, dai tempi che furono, giunge alla quotidianità dell’espressività umana, passando attraverso i primi segni sulle pareti appartenenti alla preistoria,  all’arte bizantina e, infine, toccando di mano la pittura moderna, con una nuova percezione visiva, intrisa di emozioni, realismo, profondità di spazio/sentimento e non solo.

Affermare che l’introduzione eseguita da Mario Vespasiani circa  è relativa alla sola contestualizzazione culturale, a mio avviso, è poco esplicativo e riduttivo,  ciò che è necessario,  invece, aggiungere e sottolineare è quanto determinanti correnti e Grandi Maestri siano stati fondamentali nell’evoluzione di quest’ultimo: Piero Della Francesca, il quale, per mezzo della sua opera, gli  trasmise il senso di commistione tra luce e colore, silenzio e incanto, portando alla riflessione su quanto la luce renda vivo un soggetto, facendolo vibrare di armonica completezza,  Leonardo Da Vinci che lo condusse a comprendere come ogni essere umano è energia e potenza in continua trasformazione/evoluzione, pronto a svanire, cadendo nell’invisibilità dell’oblio dell’aldilà, pur lasciando un segno, anche flebile del proprio passaggio sulla Terra, Michelangelo la cui religiosità pone l’essere umano al centro della creazione, generando, in tal modo, un’eufonica concezione planetaria.
Avvicinandoci ai giorni nostri René Magritte  e Joan Mirò, se l’uno diviene portatore dell’importante sguardo sulle sfaccettature del presente, cogliendone con occhio divertito e distaccato la magnificenza della semplicità, l’altro afferra e trasmette lo splendore e pulsante cuore della natura per mezzo di simboli.

Forme astratte raccontano la realtà che si tramuta in sogno e la consuetudine che si trasforma in miracolo.
Forte risultò, inoltre, il condizionamento delle teorie freudiane circa l’inconscio e l’interpretazione dei sogni, le quali spinsero alla nascita del surrealismo, capace di mostrare limiti, difetti e carenze del tangibile per mezzo di nuovi interrogativi dell’intelletto, allucinazioni diurne e fuga dell’uomo da una realtà che acquisì un senso differente.
Tra i tanti, non può mancare Edward Hopper, prova testimoniale di come i grandi fatti storici fortemente incisivi sull’uomo e portatori di traumi, abbiano non solo modificato gli assetti sociali e politici, ma anche l’idea di arte, la quale si scansa da aspetti tecnici per focalizzarsi su parvenze psicoanalitiche e interpretative.
Mario Vespasiani fissa il fruitore, lo porta dentro di sé e, con estrema sensibilità, lo pone nella condizione di  entrare in contatto con recondite e silenti passioni, svegliandole.

Èdal colore che tutto trova ordine, dalla sua forza che sfiora ogni settore della nostra vita, scavando in profondità, assumendo virtù evocative creando, in tal modo,  quel filo rosso che unisce ogni singola entità, acqua, fuoco, aria e terra, ogni distinta specie animale presente nel cosmo contornando l’abisso di soavi e intonate sintonie, ricalibrando,  così, sofferenze psichiche.
Ogni forma di sensazione, mielata o acre che possa essere emerge, espressa dalla verace e sottile azione dell’artista,  che tramuta il non detto in concretezza tramite l’immagine astratta che, generata da luminosi pensieri, assume un ruolo primario nel passaggio dall’incompleto, spezzato alla completezza del ricordo.
La reazione diadica tra l’innalzamento alla consapevolezza e la regressione verso il nulla dona senso al cromatismo: se le tonalità più scure adducono alla fase di decadenza, le vivifiche luminosità ramificano lentamente nell’evoluzione, nella presa di coscienza.
Tra le diverse funzioni attribuite all’arte, Mario Vespasiani,  indica come primaria la potenzialità nel far ridestare nell’uomo e nella propria quotidianità l’entusiasmo, molto spesso, legato a ricordi che, il più delle volte, nell’immediatezza del momento, causano il sentimento opposto perché quel tempo è, ormai, perduto.

La grandezza dell’artista consiste in questo: riscuotere l’emozione, quella vera, forte, energica, positiva che, originariamente, ne animava l’animo.
Ancora una volta, dunque, si torna alle modalità con le quali l’ambito creativo squarcia attraverso la ribellione animica la dissacrante immobilità. Stravolgere al punto tale da indurre l’essere umano a tradurre in significato ciò che per egli l’opera dell’artista rappresenta, assorbendola, definitivamente, cercare risposte, porsi obiettivi e costruire la nostra vita e noi stessi, come il Maestro realizza il proprio dipinto.
Un meccanismo che si aziona solo ancorando ogni produzione nel nostro pensiero e, successivamente, liberando la fantasia del Sé, permettendo, dunque, alla componente sensoriale di riconoscersi, abbandonarsi: allontanandosi, quindi, dalla tendenza a reprimersi.
Il più grande e odierno rammarico rimane uno: la bellezza e la tecnica appaino cedere il passo al marketing, ad abili mosse di mercato che, spietato e cinico, ignora fattori quali originalità, umanità e finezza estetica.



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