sabato, Aprile 20, 2024
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Biotestamento. Intervista a Maura Degl’Innocenti, medico palliativista e responsabile Sportello Biotestamento di Vidas.

Un incidente, l’improvviso aggravarsi di una malattia possono impedire di manifestare le proprie volontà su quali trattamenti sanitari accettare e quali no.
Per questo in Italia esiste una legge, la 219/2017, che sancisce il diritto di esprimere queste scelte prima, nel pieno delle proprie facoltà mentali, attraverso la stesura delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), il cosiddétto Biotestamento.
Per tutti coloro, a cui questa disposizione di legge fosse ancora poco chiara, dialogo oggi con Maura Degl’Innocenti, medico palliativista e responsabile Sportello Biotestamento di Vidas.


Entriamo subito nello specifico della Legge 219/2017. Tecnicamente, cosa ci dice?

La Legge 219, così come espresso nel suo incipit, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona.
Già dall’articolo 1 che parla del consenso informato viene stabilito che il paziente può scegliere se sottoporsi o meno ad un trattamento sanitario ma può anche decidere di non proseguire un trattamento già iniziato.
Il consenso prevede una corretta informazione e si basa sulla relazione con una equipe curante.
L’articolo 4 della Legge 219 introduce le Disposizioni Anticipate di Trattamento che permettono di esprimere preventivamente le nostre volontà per quando non saremo più in grado di autodeterminarci (perché non coscienti o non cognitivamente capaci o non in grado di comunicare).
Il testo completo della legge, che è scritta in un linguaggio semplice e comprensibile, è visibile sulla pagina vidas.it/biotestamento

Sottolineiamo l’importanza che riveste.

Il cuore di questa Legge è il consenso e quindi la possibilità di autodeterminarsi. In questo senso è una legge “educativa” perchè ci vuole condurre, già ora, da sani, a riflettere su quali trattamenti siano proporzionati o sproporzionati rispetto alle condizioni di salute e alle aspettative di vita, nel rispetto dei nostri valori, della dignità personale e del limite che ciascuno di noi si pone.
È educativa anche per i sanitari perché ci ricorda che una persona può realmente scegliere solo se realmente informata.
Le DAT inoltre possono essere considerate un atto di responsabilità nei confronti dei propri familiari che vengono alleggeriti nel momento di scelte difficili.
Hanno anche un valore sociale in quanto può essere valutata una giusta allocazione delle risorse.


Sappiamo che è possibile redigerlo in svariati modi, quali sono? A chi si deve rivolgere il cittadino?

Il testamento biologico può essere redatto in diverse modalità.
Può essere depositato con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, alla presenza di un funzionario pubblico designato o attraverso un qualsiasi pubblico ufficiale, come un notaio.
Per i cittadini italiani all’estero, infine, le DAT vanno depositate presso gli Uffici consolari italiani.

Nel caso in cui sia compromessa la capacità di redigerlo in forma scritta , come si procede?

Qualora le condizioni fisiche siano compromesse e non sia possibile procedere alla redazione di un testo scritto, le DAT possono essere espresse anche attraverso videoregistrazione o tramite qualunque dispositivo consenta alla persona di comunicare.

Quali sono gli organi presso i quali il Biotestamento viene conservato?

I testamenti biologici vengono conservati presso notai, comuni, strutture sanitarie competenti e consolati italiani all’estero e poi trasmessi e inseriti nella Banca dati nazionale delle DAT, attivata il 1° febbraio 2020.  Il disponente, il fiduciario eventualmente da lui nominato e il medico che ha in cura il disponente possono accedere ai servizi di consultazione delle DAT attraverso autenticazione SPID o (Carta Nazionale dei Servizi o Tessera Sanitaria).
È importante sottolineare che il testamento biologico può essere modificato o revocato in qualsiasi momento.

In Italia le statistiche dicono che “meno dell’1% della popolazione ha redatto le DAT e solo il 19% dichiara di conoscere bene la legge che le regola e le procedure per depositarle correttamente”. 
Secondo lei, per quale motivo le percentuali sono così basse? Perché si alzano le barriere difensive rispetto al tema?

Questi dati emergono da una ricerca nazionale eseguita sulla percezione della popolazione in merito al testamento biologico condotta da VIDAS con Focus Management a due anni dall’uscita della legge. Secondo gli intervistati, i principali ostacoli alla diffusione del testamento biologico sono riconducibili alla natura della tematica, intesa sia come argomento che spaventa (25,8%), sia come scelta difficile e personale (37,5%). Anche la forte influenza cattolica nel nostro Paese è percepita come un impedimento dal 39,6% delle persone mentre il 23,2% lamenta una scarsa informazione da parte dei media.

In che modo il Biotestamento può diventare uno strumento a tutela della qualità della vita?

Innanzi tutto il concetto di “qualità della vita” è molto personale e diverso per ognuno di noi: per tante persone sane spesso si identifica con le autonomie. Per una persona malata la qualità si “adatta” alla perdita di “capacità” e può anche identificarsi con altro: per un mio paziente era la possibilità di contemplare l’aurora, quell’apparire della luce nel cielo poco prima del sorgere del sole.
Credo che ciascuno di noi debba riflettere sulla propria personale definizione di qualità della vita. La difficoltà sta nel “decidere ore per allora” ma l’alternativa è che qualcun altro decida per noi.  L’autodeterminazione è indubbiamente uno strumento utile a perseguire la qualità della vita ma non sufficiente. Da palliativista ritengo che le scelte che riguardano il fine vita, tanto più quando parliamo di una persona fragile e vulnerabile, non possano fondarsi solo sulla autonomia personale ma debbano scaturire da una autonomia relazionale dove il paziente, competente e informato, viene aiutato, attraverso la relazione con i curanti, a fare delle scelte coerenti con i suoi valori, con il senso che dà alla sua vita, con le sue relazioni.  L’autonomia relazionale chiede ai curanti di “stare” nel tempo di relazione, che è tempo di cura (come ci insegna la Legge 219/17) e implica sempre assunzione di responsabilità.

Biotestamento ed eutanasia sono spesso associati nelle riflessioni sul fine vita e in quelle riguardanti l’autodeterminazione. 
Può fare chiarezza?

Certamente il modo in cui diversi media pongono il problema crea confusione. La possibilità di autodeterminarsi è il presupposto etico tanto delle DAT quanto della scelta di porre fine alla propria vita.
Ma parliamo di questioni diverse per tempo, mezzi e finalità.
Il fine di chi sottoscrive le DAT è quello di non prolungare inutilmente le sofferenze e la vita biologica; il mezzo per ottenerlo è la sospensione o il non inizio di trattamenti “salvavita”. I biotestatori possono anche scegliere di affidarsi alle Cure Palliative per assicurarsi che tutte le sofferenze vengano lenite.
Il fine dell’eutanasia, così come del suicidio assistito, è quella di procurare, intenzionalmente e nel suo interesse, la morte di una persona che ne faccia esplicita richiesta. Il mezzo è la somministrazione di un farmaco letale. La nostra attuale legislazione vieta tutte le forme di morte medicalmente assistita e pertanto l’eutanasia non può essere richiesta nelle DAT.
La società civile, la giurisprudenza, le riflessioni bioetiche e religiose si stanno interrogando rispetto al fatto che in presenza di una malattia inguaribile e terminale, di una sofferenza intollerabile e di una richiesta esplicita del malato, informato e competente, si possa prendere in considerazione l’aiuto medico al fine dii anticipare la morte.

Come Associazione possedete uno sportello che offre consulenze in merito. 

VIDAS crede nell’importanza della Legge 219 e desidera promuoverla mettendo a disposizione dei cittadini una pagina web dedicata al biotestamento, con tutte le informazioni utili e la possibilità di scaricare una guida e un modulo compilabile.
A questo sì sono aggiunti una linea dedicata alla quale i nostri volontari danno informazioni e lo Sportello Biotestamento dove è possibile richiedere una consulenza gratuita a medici e psicologi esperti. Lo Sportello Biotestamento VIDAS ha sede a Milano in via Ojetti 66 e ora è attivo solo in modalità digitale. Per fissare un appuntamento è sufficiente telefonare allo 02 725111 o scrivere a biotestamento@vidas.it).

C’è una domanda di natura strettamente personale che vorrei porle.
Lei è un medico palliativista, cosa legge quotidianamente degli occhi suoi pazienti?

Grazie per questa domanda.
Gli occhi…soprattutto in questo tempo di Covid, arrivano prima delle parole.
Negli occhi di Carla vedo il desiderio di verità: mentre le persone intorno a lei raccontano di una malattia edulcorata dove un tumore diventa una “macchia” e l’assenza di terapie rivolte alla guarigione diventa “quando si riprende tornerà a fare la chemioterapia”, lei mi guarda con la consapevolezza di chi già sa …
Negli occhi di Luigi leggo la paura, che poi verbalizza: “non ho paura di morire, ho paura di soffrire”.
Gli occhi di Marisa, colmi di sofferenza, si piantano nei miei mentre implora “basta”: c’è un limite alla sofferenza fisica ed esistenziale che una persona può sopportare, un limite che anch’io, proprio io, devo comprendere.
Questi pazienti sono i miei maestri, per me medico e per me donna.


Vive sul campo situazioni molto forti, quindi le chiedo: “Perché ci si ostina, ancora, nel 2021, a rimanere attaccati a una non vita?”

Rispondo raccontando la storia di A., un uomo che quando l’ho conosciuto aveva 69 anni, gravemente ammalato da 48 anni; da 21 costretto ad utilizzare una carrozzina. Le sue condizioni andavano progressivamente e inesorabilmente peggiorando rendendolo dipendente in tutto e allettato e facendogli sperimentare dei dolori intensi.
Era sposato con T. anche lei gravemente ammalata e dipendente da macchine per sopravvivere.
La casa era un piccolo ma efficientissimo ospedale con 3 badanti che si alternavano nelle 24 ore.
A. e T. si amavano moltissimo; dal suo letto lui le scriveva dei meravigliosi messaggi di amore e riusciva grazie ai badanti a farle avere mazzi di fiori.
A. e T. avevano desiderato una morte anticipata. A. si rendeva conto di perdere anche le sue capacità di pensiero e questa era la sua paura più grande ma anche il limite che non intendeva superare, cosa che aveva anche scritto nelle sue DAT.
Quando abbiamo avviato le Cure Palliative gli ho chiesto cosa si aspettasse da noi e A. mi ha risposto: “Voglio che voi mi ascoltiate e accogliate la mia sofferenza”.
A. diceva di sentirsi sull’orlo di un pozzo nero senza avere la speranza di vedere una luce. Si definiva un non credente e per questo cadere in quel pozzo avrebbe significato la fine di tutto; se da una parte anelava alla fine della vita per preservare la sua dignità, dall’altra la temeva, proprio perché era una strada senza uscita.
Per questo A. ha scelto di continuare a vivere la sua dolorosa ma pur sempre vita, di continuare ad amare la sua T. e di continuare a sentire i nipotini saltellare sul suo letto…finchè ha potuto.
Le Cure Palliative insegnano che solo il paziente può stabilire il suo grado di sofferenza; gli operatori sono tenuti a sospendere il giudizio ma ad accogliere, comprendere, stare con chi soffre e responsabilmente rispondere.


C’è un messaggio che vorrebbe lanciare?

Come recita la campagna di informazione e sensibilizzazione sul diritto al Biotestamento che stiamo promuovendo in questi giorni: “Scegli adesso. Adesso che puoi” .



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