martedì, Marzo 19, 2024
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Ernest Hemingway, Addio alle armi.

“C’era qualcuno che diceva sempre, perché questo tale è così preoccupato e ossessionato dalla guerra. Siccome di guerre ne ho fatte troppe, sono certo di avere dei pregiudizi, e spero di avere molti pregiudizi. Ma è persuasione ponderata dello scrittore di questo libro che le guerre sono combattute dalla più bella gente che c’è, o diciamo pure soltanto dalla gente, per quanto, quanto più ci si avvicina a dove si combatte e tanto più bella è la gente che si incontra; ma sono fatte, provocate e iniziate da precise rivalità economiche e da maiali che sorgono a profittarne. Sono persuaso che tutta la gente che sorge a profittare della guerra, e aiuta a provocarla dovrebbe essere fucilata il giorno stesso che incominciano a farlo da rappresentanti accreditati dei leali cittadini che la combatteranno.  L’autore di questo libro sarebbe lieto di incaricarsi di questa fucilazione, se fosse legalmente delegato da coloro che combatteranno, e di badare che a tutti i corpi venga data degna sepoltura “

Hernest Miller Emingway, giornalista e scrittore.
Autore di svariati romanzi e racconti tra i quali”Addio alle Armi” è sicuramente  il più celebre.
Fondato sull’esperienza personale dell’autore stesso, arruolatosi come volontario nei servizi autoambulanze e successivamente inviato sul fronte italiano. 
A Farewell to Arms, film del 1932 tratto dall’omonimo romanzo e diretto da Frank Borzage
La sua è una storia d’amore e di guerra, sospesa tra fantasia e realtà, all’interno della quale emergono tutti gli elementi che caratterizzarono la vita di Ernest : ossessione per la morte, coraggio, sfida e amore.
Inizia tutto nel 1917, quando Frederic Henry, giovanissimo tenente americano, decide di arruolarsi come autista per la Croce Rossa USA, e si trova quindi a fare da sostegno alle forze Alleate sul fronte austriaco.  Nell’ambito di questo tragico scenario, il protagonista, inaspettatamente, come un fulmine conosce Catherine Berkley,  infermiera della quale si innamora e con la quale trascorre momenti profondi, realmente sentiti; è lei, la donna che in seguito a ferimento, lo cura a Milano.
Ciò che traspare dai primi capitoli del romanzo, è lo spirito belligerante dell’uomo, che in un crescendo di avvenimenti dolorosi andrà smorzandosi, fino a mostrare a Frederic il crudele volto della guerra, quella crudeltà che non conosce giustificazioni, in quanto animata dal solo senso di distruzione.
“Questo si faceva. Si moriva. Non si sapeva di cosa si trattasse. Non si aveva mai il tempo di imparare. Si veniva gettati dentro e si sentivano le regole e la prima volta che vi acchiappavano in fallo vi uccidevano.”
Si dice che l’amore salva,  che porta a guardare il mondo con occhi diversi, e molto probabilmente modifica l’approccio alla vita. Eccola, la magia che Catherine riesce a compiere. Non solo, ma dall’unione dei due, ne deriva lo stato di gravidanza della giovane: un’ondata inaspettata di ottimismo, il pulsare di un cuore in circostanze devastanti.
Infiniti e teneri momenti,  giungono però  a conclusione: Frederic verrà richiamato alle armi. Qualcosa però è cambiato: “L’unica cosa che desideravo fare era vedere Catherine. Il resto del tempo mi accontentavo di ucciderlo. “
Da questo momento, il protagonista cresce, dal punto vista umano, personale. Giunge così, alla presa di coscienza e alla condanna di ciò che di inumano appartenente alla guerra.
Gli italiani crollano a Caporetto, la ritirata ha luogo.
Sono queste le pagine più intense del romanzo, nel quale Hemingway, descrive con precisione e nei dettagli i sentimenti interiori che tormentano non solo il personaggio di spicco, ma anche  tutti coloro che gli ruotano intorno.
“Se la gente porta tanto coraggio in questo mondo, il mondo deve ucciderla per spezzarla, così naturalmente la uccide. Il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono più forti nei punti spezzati. Ma quelli che non spezza li uccide. Uccide imparzialmente i molto buoni, i molto gentili e i molto coraggiosi. Se non siete fra questi potete esser certi che ucciderà anche voi, ma non avrà particolare premura.”
Da queste interminabili ed emotivamente potenti descrizioni, ci si trova catapultati in quella che è una fuga lenta e difficilmente controllabile dal punto di vista mentale, quasi a perdere ogni sorta di raziocinio: “La sera dopo incominciò la ritirata, non c’era più disordine che in un’avanzata”.
La diserzione, la scampata fucilazione e il ricongiungimento con la donna amata, mettono maggiormente in evidenza il suo NO, fermo e deciso, verso la guerra come strumento di sopraffazione insensata di un popolo sull’altro.
Il romanzo non ha un lieto fine,  e l’amore rimane comunque segnato da una devastante sconfitta della felicità.
Riprendendo le parole dell’autore :“Il fatto che il libro fosse tragico non mi rendeva infelice perché ero convinto che la vita è una tragedia e sapevo che può avere soltanto una fine. Ma accorgersi che si era capaci di inventare qualcosa; di creare con abbastanza verità da esser contenti di leggere ciò che si era creato; e di farlo ogni giorno che si lavorava, era qualcosa che procurava una gioia maggiore di quante ne avessi mai conosciute”.
La conclusione forte e dolorosa, evidenzia il contrasto tra morte e amore. Il decesso di Catherine durante il parto, e il nascere privo di vita della creatura che porta in grembo, risulta essere l’esempio di come il dolore nella vita sia inevitabile, presente, vivo anche lontano da conflitti, distruzioni e valori distorti.
Insomma, è questo il tipico pessimismo caratterizzante il nostro scrittore.
Cos’è la felicità? Un ideale, il fine supremo che l’uomo persegue disperatamente, facendo a pugni con forze ostili e con le quali è inutile combattere.

La certezza, per quanto banale, è sicuramente una: sono pochi i momenti di vera serenità che accompagnano l’esistenza, ed è per questi ultimi, che vale la pena lottare, davvero, contro tutto e tutti.
Ernest è lo scrittore della precarietà della vita, della fragilità umana, tradotti attraverso una scrittura semplice: scrive d’istinto, di pancia, racconta solo ciò che conosce.  Arriva, eccome, arriva a chiunque.

Si spense il 2 luglio 1961 sparandosi un colpo di pistola alla gola.
Nel 1953 vinse il Premio Pulitzer per la Narrativa.
Nel 1954 fu insignito del Premio Nobel alla Letteratura con “Il vecchio e Il Mare”.

“Non c’è niente di speciale nella scrittura. Devi solo sederti davanti alla macchina da scrivere e metterti a sanguinare”.

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