Disturbi del comportamento alimentare: Anoressia Nervosa.
A differenza di quanto siamo indotti a pensare l’anoressia colpisce fasce d’età differenti, dai quali non è esclusa l’infanzia. Sono state riscontrate, infatti, diverse forme cliniche, ognuna con determinate peculiarietà: anoressia del lattante (0-1 anno), pseudo anoressia ( 3-4 anni), anoressia prescolare ( 4-5 anni), anoressia pre-menarcale (8-10 anni), post- menarcale( (12-18 anni in poi). Dal punto di vista generale è caratterizzata da ostinato e categorico rifiuto di alimentarsi, dettato dalla paura di ingrassare; ogni paziente prova dentro di sé questo stato anche quando è al limite del dimagrimento. All’inizio due elementi sono fondamentali alla diagnosi: dispercezione corporea e scarsa consapevolezza della malattia.
Il “Manuale Diagnostico e Statistico”, definisce l’anoressia nei seguenti termini:
a) rifiuto di mantenere il peso corporeo a un livello minimo normale o al di sopra di esso data l’età e la statura.
b) terrore di aumentare di peso o ingrassare anche difronte a una situazione di sottopeso.
c) disturbo nel sentire peso e forme del corpo, la valutazione di sé viene fortemente influenzata da peso e forma del corpo.
d) nelle donne che hanno avuto il menarca , è presente amenorrea, ovvero assenza di almeno tre cicli consecutivi. Prende il via per mezzo di una banalissima “cura dimagrante”, che con il passare tempo viene affiancata a digiuni, uso di farmaci anoressizzanti, lassativi, palestre. In seguito la situazione acquisisce connotati morbosi e quindi, dolori gastrici, stipsi, nausea e vomito.
Infine, diviene una forma patologica conclamata e grave.
Il quadro è il seguente: tra digiuni, utilizzo di lassativi e anoressizzanti, la paziente dimagrisce al punto di raggiungere livelli estremi di sottopeso: 25, 30 Kg. Ovviamente, quest’ultima nega la gravità della situazione, il cui unico pensiero è perdere peso senza in realtà neanche sapere a quale punto vuole arrivare.
Ciò che accade a colei che soffre di anoressia è convincersi che può esercitare un forte controllo non solo sul proprio corpo, ma anche sui propri bisogni attraverso il diniego di fame, stanchezza, desiderio sessuale, in questo modo si sgancia così da “obblighi” a cui ogni essere vivente è sottoposto.
Delirio di onnipotenza: io sono decisamente indifferente alle necessità a cui tutti voi soggiacete.
Distinguiamo due forme di anoressia:
a) Tipo restrittivo: la paziente non presenta frequenti fenomeni di abbuffate o purgativi.
b) Tipo bulimico: nel corso dell’episodio anoressico, la paziente presenta episodi di abbuffate e comportamenti purgativi (vomito autoindotto, abuso di lassativi o diuretici).
In quest’ultima situazione, viene meno il senso di onnipotenza sopra citato,
di conseguenza, il potere è perso, e la situazione deve necessariamente essere risolta, poco importa lo strumento, occorre liberarsi di quel cibo visto come pericolo.
Il corpo distrutto diviene una sorta d’identità che si autocostruisce tramite il quale esercita controllo sull’ambiente che la circonda.
Il trattamento dell’anoressia risulta essere uno dei più difficoltosi in campo psichiatrico: molto spesso, la paziente rifiuta qualsiasi tipo di cura, intervento terapeutico e cibo.
Dal punto di vista psicopatologico, alla fobia del peso, sono accompagnate svariate alterazioni: come già accennato, un disturbo nella percezione del corpo, che porta a negare la magrezza, disturbo nella percezione delle sensazioni, quindi, il risultato è il non riconoscere fame, sete, sazietà in corso di crisi bulimica, e stanchezza nei momenti di iperattività fisica.
Ulteriori problematiche:
a) Disturbo Ossessivo Compulsivo
b) Depressione
c) Disturbo borderline di personalità. In generale il BPD è maggiormente associato a forme di bulimia e disturbo alimentare cronicizzato, nel quale il livello di funzionalità è ritenuto basso.
Interventi:
In casi gravi è necessaria l’ospedalizzazione.
Terapia farmacologica: si fonda sull’utilizzo di benzodiazepine e antidepressivi nel caso in cui è evidente la componente depressiva/psicosomatica. Utilizzo di stabilizzanti dell’umore.
Psicoterapia individuale, analitica o cognitivo/comportamentale: mira all’elaborazione e al superamento di dinamiche che hanno condotto il sintomo a presentarsi; mira a ricalibrare il sistema dell’io.
Psicoterapia relazionale: prende di petto il problema nella sua globalità, le cui radici sono costituite dall’alterazione di dinamiche familiari. Questa tipologia di approccio, ha lo scopo di modificare le relazioni intercorrenti tra le componenti del nucleo familiare, e a rapportarsi al soggetto sofferente.
A tutto ciò, vengono ad affiancarsi: riabilitazione nutrizionale, monitoraggio medico/biologico, riabilitazione neuro/motoria e creativa. Quest’ultimo trattamento è applicato alle situazioni che si protraggono da molto tempo.
Alla luce di quanto scritto, invito a non banalizzarne il problema.
L’anoressia non è un gioco, uno scherzo o un capriccio. Il sintomo nella sua materialità non si manifesta da un giorno all’altro, ma è il risultato di una sofferenza profonda, di un disagio psichico che da lungo tempo la paziente si porta dentro; è la prima causa di morte tra le malattie di natura psichica.
Evitiamo di porre il capo sotto la sabbia, così come fanno gli struzzi, indicando (ancora nel 2019) nei campi moda e pubblicità la causa primaria; certamente, questi campi influenzano o accellerano il manifestarsi del problema all’interno di una psiche fragile per altre cause: quali infanzia, equilibri familiari malsani e precari
Il primo passo verso la “guarigione” consiste nell’accettazione, nel dare un nome alla sofferenza. Il male non si estirpa mai del tutto: guarire significa rendersi equilibrati e funzionali in modo da poter vivere, e bloccare di conseguenza, i meccanismi che stanno all’origine del disturbo alimentare.