martedì, Aprile 30, 2024
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Frammenti dell’Io. Intervista a Daniele Ismaele Cabri.

Daniele Ismaele Cabri alligna il proprio io più intimo nella verità primieva del “chaos”  : egli si ricongiunge a quella realtà farraginosa e prima, attraverso una ritualità forte, che prevede l’abbandono del limite fisico, per addivenire parte di quell’arcano e complesso Uno.
Legato, in maniera importate, agli elementi naturali e agli esseri viventi, il performer “narra” , in primis, l’importanza del nucleo di appartenenza: esprime allora col fuoco, su pelli animali, i protagonisti, passati e presenti, della propria terra natia.
Le loro sembianze vengono foggiate, mutate dallo scorrere del tempo: è, questo, un tema caro all’autore.
Vivifica, sulle vive dignità, composizioni umane universali: uomo, bestia e natura si sposano, confusamente e pacificamente, addentro una rada dal sapore familiare e intimo.

Proviamo a conoscerci.
Sul tuo sito web scrivi : “Come vedete mi rappresento qui davanti a voi nudo nella carne e nello spirito e nelle mie diverse sfaccettature in cui è composto la mia anima”.
Quali sono le svariate sfumature assunte da quest’ultima?

Bè…sono molte direi e non subito visibili. Forse non sembra dal mio atteggiamento durante una performance o come mi pongo anche nei contatti personali, sono molto timido e da subito in un primissimo momento il mio corpo ad un incontro con l’altro o ad un evento ha un attimo di spaesamento e si ritrae, perché è la mia anima che si ritrae l’attimo prima. Un’ anima bambina che ha percezioni sottilissime spesso premonitrici di certi eventi; e nella sua parte oscura diventa l’Orso cupo che da animale selvaggio non avvezzo ai rapporti sociali sto semi-nascosto in una sottile striscia di penombra, ma poi ho di nuovo bisogno della luce più piena ed allora mi trasformo e vado al centro dell’arena cercando nella performance di raggiungere la vetta dell’espressione. Divento una specie di orso gladiatore! Non sopporto essere invaso e dunque devo controllare tutto, sebbene non sembri. Poi recupero subito ed avanzo togliendomi tutte le sovrastrutture e questo avviene quando fisicamente mi spoglio dei vestiti che ricoprono il mio corpo. Spesso ai primi seminari che facevo legati alla conoscenza di Sè nel campo trans -generazionale quando dovevo fare qualcosa la prima cosa che facevo era quello di spogliarmi della maglia per liberare il busto e preparami nudo con il dorso ad un eventuale incontro o scontro fisico. Diventa un modo di togliersi le maschere e andare al nocciolo di quello che si è per andare verso il mondo. Fare pittura o scultura o performance per me non è come fare fioretto ma usare una specie di mannaia vichinga al posto del pennello, la matita o lo scalpello o la fiamma ossidrica il tutto stando sempre nel circuito del figurativo che di solito è l’unico steccato che permetto mi contenga.
Ultimamente mi sembra di essere un boscaiolo che lavora con la tela, o la pelle o la creta o il mio corpo.
Cavolo vi ho parlato come fossi sotto una seduta psichiatrica, ma creare è sempre una seduta con se stessi e poi gli altri che stanno fuori!

So che hai un legame molto profondo con la tua terra d’origine da cui deriva ciò che esprimi.

Sì, è profondissimo e va oltre quello che penso e posso esprimervi perché osa andare a pescare anche nelle generazioni precedenti per aumentare la sua Densità di Appartenenza. Si nutre delle generazioni precedenti per creare la propria “Heimat”. SE non fosse stato per il bisogno impellente di esprimermi non sarei mai andato via un attimo dal mio nido; anzi sarei sprofondato talmente quasi da soffocarmi ed amputarmi nel mio sentire pur di stare nella tana calda ed accogliente e piena di odori conosciuti. Ma se si vuole crescere veramente “si deve uscire al mondo”, come si suol dire, solo allora dalle frizioni che ne succedono nasce qualcosa a volte di unico e irripetibile. L’arrivo della pelle nel mio caso è stato uno di quei momenti. Prima da bambino lavoravo sulla carta e lì ricreavo le persone gli attrezzi, i trattori arancioni con i loro cingoli che io meticolosamente rappresentavo e poi vivevo il loro stridio sulla terra dura secca o sull’asfalto quando si dovevano spostare su strada per un breve tratto, tutto questo mi faceva andare in trans, mi paralizzava di piacere; questa cosa l’ho vista anche in mia nipote. Ora sono tornato con le pelli di nuovo là! Addirittura prima di tornare a disegnarlo e dipingerlo questo mondo, nei primi anni duemila l’ho anche scritto in due racconti lunghi che ho poi stampato a mie spese in una decina di copie. Uno si intitolava” L’Eden Ritrovato” e l’altro “Cronache…” Un giorno spero di riuscire a darlo ad una casa editrice, perché sebbene siano scritti molto acerbi esprimono una loro genuinità selvaggia intrisa di tanta forza vitale. Perciò questo legame con la mia terra è tale che ho dovuto usare all’immagine anche le parole e poi anche ho voluto metterci il tempo fra queste immagini girando qualche documentario che mi è servito come archivio per i lavori su pelle su cui meditare ed aiutare la memoria personale.

Da cosa scaturisce il processo creativo?

Con sicurezza mi piacerebbe potertelo dire…per risponderti devo andare a tentoni… Penso sia il desiderio innanzitutto di Appartenere ad un luogo fisico e poi in contemporanea a quello dell’anima ed allora scatta la scintilla che diventa “Bisogno di ricrearlo” per non farlo sparire davvero mai dai nostri occhi, per non farlo finire davvero dal tempo, dalla sua capacità di corroderlo, cambiarlo per sempre al nostro ricordo. Penso”…che se riesco a ricrearlo quel po’…forse lo posso rivivere di nuovo…e dunque riproponendolo io sono sempre là…ed il tempo è azzerato ed è un perenne presente. Forse l’atto creativo mi permette di non crescere mai fino in fondo e poter stare lì reclinato sul mio ventre a contare le mie emozioni per poter crearci dentro i giochi delle memorie di un mondo che non mi stanco mai di vivere nel volerlo sempre riproporre. Mi sento un preservatore di memorie che però poi devono mettersi in moto per ricrearsi di nuovo mischiandosi al mio drago interiore per ridare vita ad una vita precedente che è comunque altro da quello di prima. Vengono a tremare i polsi, quando a volte misi insinua in testa un pensiero fisso alimentato dall’ego, un pensiero a volte smisurato ed eccessivo, che è quello di voler farsi “Dio” per un piccolo frammento di tempo, o qualcosa di simile. Mi sono accorto che una emozione che mi arriva io la voglio sempre di nuovo riproporre, non me ne stanco mai, la abbino a quella tale immagine che me l’ha fatta scaturire e per me è prioritario ricrearla, starci dentro sempre, quasi in modo autistico, ossessivo.

Il tuo fare arte è strettamente legato a un elemento: il fuoco. Questa “decisione” è ragionata, frutto dell’istinto o entrambe le componenti hanno giocato un ruolo di rilievo?

Sicuramente è nata dal profondo e dunque non ragionata freddamente dalla mente, dopo poi vedendo da fuori ciò che era successo ho iniziato a ragionarci sopra…ma dopo l’immediata azione selvaggia. Il mio sangue, il suo scorrere nelle vene, nelle arterie più profonde con conseguenti rialzi pressori dovuti al mio temperamento hanno dettato i tempi dell’arrivo del fuoco. Si è creata questa agenda di fuoco!!
Potremmo dire da allora…” Fuoco cammina con me…” So di avere un Drago atavico profondissimo che ha bisogno di sbuffare il fuoco per sopravvivere e mantenere in salute l’involucro di pelle e ossa che lo contiene. Il mio traguardo sarebbe quello di eruttare con la mia fiamma ossidrica personale colori di fuoco sulla pelle, dunque passare dal segno e dalle ombre di nuovo al colore, ma a un colore lavico legato al centro della terra alla sua camera magmatica. Finchè non troverò questo tipo di colore rimarrò ancora nel segno dell’aratro e nelle zone ombreggiate che fanno da contorno al segno.
Il tutto è nato dopo che sono venuto a Milano attorno al 2014. Precedentemente ero salito al Nord già sul finire degli anni novanta, quando ero appena trentenne nel 1996 e 1997, ma senza riuscire a trovare un terreno che mi si confacesse sia nell’anima che nel corpo ed infatti a livello creativo non scaturì nulla allora, se non al ritorno rinchiudermi ancora di più nel Nido, un aumentare la sua densità e dimenticarsi il resto del mondo perché sentito troppo “Freddo” allora e dunque inospitale. La seconda uscita verso Milano a distanza di ben quasi vent’anni mi portò a riuscire ad intercettare qualcosa che mi spinse ad andarci spesso e a trovare il mio personalissimo“Fuoco” di Prometeo. Qualcosa nella mia anima era cambiato, io ero cambiato, cresciuto pronto al mondo.
Prima No!! Come vedete la strada del “Cercarsi” è lunghissima, lentissima, a volte al rallentatore, quasi si ferma e sembra traballare per tornare indietro, si devia sembra di prendere una stradina laterale che quasi ti fa perdere la via, ma poi si ritorna sulla strada principale e ci si accorge che si è finiti molto avanti. Una sorpresa vera e propria!
Vive e si nutre del Tempo degli uomini e del pianeta.


Quale significato assume il fuoco nel complesso del tuo lavoro?

In primis estensione delle mie emozioni più sotterranee e difficile da far uscire, poi una purificazione con un azzeramento dei colori riuniti nel cerchio ridotto delle penombre su cui poi partire per ritrovare i nuovi colori dopo le avvenute vampate. Mi esprime tutto nella mia interezza di essere umano prima che artista. Sulla mia spalla destra dove c’è il muscolo chiamato deltoide, dieci anni fa mi feci tatuare il mio unico tatuaggio raffigurante il Sole della carta dei Tarocchi Maggiori, da allora ho iniziato a correre con il fuoco. Forse mi riporta le emozioni incontrollate tanto erano forti di quando bambino assistevo alle accensioni dei fuochi da parte degli adulti. Vedere il miracolo dell’accensione nel mezzo di un grande ed immenso campo verde di un Falò è qualcosa che quasi non si può descrivere, quell’arancio giallo acceso che si muoveva come lingue simili ai fulmini del cielo tutto diventa muto e solo il gesto di accendere un fuoco di risposta può stare al livello di quell’emozione primaria a cui si è avuto il dono di assistere. Si deve diventare dei Prometei, solo questo sarà il lavoro di una vita per poterla rendere degna di essere vissuta!! Sembrerebbe la poetica di un piromane o un incendiario, ma non è così, io provo con le parole a ridarvi le ceneri di quella mia prima emozione.
Per quanto riguarda in specifico il lavoro vero e proprio su pelle animale ne è la cifra assoluta per creare quelle ombre che mi fanno dire che sto viaggiando tra le ombre dell’Ade ed il mondo che voglio rappresentare diventa fatto di ombra più o meno scura a secondo del soggetto e della pelle che mi fa da supporto. Quelle ombre che si formano sono la rappresentazione dello “Struggimento che subisco quando vivo la mia realtà quotidiana nel mio piccolo borgo” in quell’esatto istante io navigo dentro un Ade. Poi tutto questo seguo l’esigenza suprema di esprimerlo per non farlo sparire per sempre nella lotta contro il tempo.


Per necessità racconti la “Condizione Umana” .
Qual è lorigine di questo bisogno?

Sono un grande solitario che per molto tempo vede pochissima gente, di solito solo quelli del proprio clan famigliare e dunque dovrei essere uno che della condizione umana non sembra interessi molto, invece probabilmente per riequilibrare non posso far a meno che rappresentarla, pensarla, meditarci sopra, il mio lavoro vive di quello, altro non mi alimenta. Nel grande ciclo” Quando eravamo amabili selvaggi” ho rappresentato la condizione epica contadina di un mondo rurale alla fine, ma nel nuovo ciclo che sto iniziano con “ Saturno che divora i propri figli” ipotizzo un insieme di individui collegati alla tecnologia che gli fa da centralina per farli comunicare e vivere, creo un Trio composto da due parti umane e una tecnologica ora distinte e riconoscibili, fra pochi decenni indistinte e non riconoscibili.



Entri nel merito di essa attraverso immagini strappate all’iconografia medioevale ma non solo, rappresenti le deformazioni insite nell’odierna società con una tecnica tutta tua.

Sì nel mio incipit di statement o all’interno accenno a questo cosi detto segno medioevale. IO ho proprio quel segno lì, legato moltissimo ai pittori ferraresi legati al Cosmè Tura, fino ad arrivare al durissimo e aspro e disperato segno di Ligabue. Un segno che è profondo come un aratro almeno nei primissimi lavori, quella è la mia vera natura come fosse inciso nel legno o la pietra invece che su carta tela o pelle. Sarà che la mia mano è istintivamente quello di uno scultore o scalpellino di tempi andati, pesante, molto pesante. Poi questo segno sono riuscito a portarlo con la fiamma ossidrica e il pirografo sul supporto anomalo e raro della pelle animale. Non ha perso nulla in questa trasposizione della sua durezza ed emozione di cui è intriso. Volevo purificare il mio lavoro precedente e ho deciso scientemente di ripartire dal segno, dalle ombre e poi se avrò tempo ripristinerò anche il colore, ma solo quando sarò sazio di segni, graffiti e ombre. Con il nuovo ciclo che ho iniziato a concepire proprio a Milano, esattamente a Chippendale Studio dal docente e critico d’arte Luca Panaro l’opera formata di tre pelli “Saturno che divora i propri figli” dove rappresento proprio il momento attuale della modifica della società durante questa pandemia. Da qui dovrei continuare a lavorare per creare un grande ciclo a riguardo con tante figure le une legate alle altre dove la centralina elettronica la fa da “Grande Fratello” con tutte le sue conseguenze.

Ad un certo punto hai preso contatto con il rito sciamanico.
In che modo ha inciso sulla tua personalità, artistica e non solo?

Lo facevo istintivamente nelle mie pratiche teatrali giovanili o di performance artistiche non sapendo che era in qualche modo anche sciamanesimo o almeno per lunghi tratti dello svolgimento molto imparentato a questo. Non lo sapevo, ma già ero nel suo campo magnetico. Quando poi ne sono diventato consapevole dopo varie letture che mi hanno portato a leggere testi sull’argomento di carattere antropologico e filosofico, qualche documentario e quasi tutta la filmografia di Jodorowskj e poi nel campo riguardante la salute sia personale che a spettro più largo andando con il punto di vista delle medicine alternative. Da allora molto è cambiato tanto che mi ha spinto ad andare a vedere e a conoscere personalmente le discipline sviluppate da Aleandro Jodorowskj che partivano e si imbevevano della poesia e dell’arte. Mi si è aperto una moltitudini di mondi possibili tutti da vivere e sperimentare che mi hanno portato a cambiare sia mentalmente e fisicamente il mio approccio creativo. Oh…almeno spero…Ora la porzione che i miei sensi riescono a percepire è di molto aumentata e dunque anche il mio abbraccio creativo e mentale. Ci fu un periodo prima di questo in cui mi stavo chiudendo al mondo, in modo esagerato, dopo queste esperienze ed incontri ho iniziato ad aprirmi a cose e persone che non avrei mai creduto possibile. Proprio dopo queste esperienze sono giunto alla scoperta del fuoco e della pelle.

Da non molto hai iniziato a incidere su pelli di animali. Una scelta molto discutibile, ma oggetto di rivalutazione in funzione di quella che è la filosofia dalla quale ha origine.
Ti chiedo quindi di spiegarne il senso.

Ho iniziato a lavorare su pelli con il fuoco dall’anno 2016 dopo poco che ho iniziato a fare un veloce andirivieni e sostare a Milano per incontri e seminari. Pochi giorni dopo che avevo avuto i primi contatti con la scena creativa Milanese mi ero messo a lavorare già con la fiamma ossidrica (quella larga per scaldare i fogli del catrame sui tetti delle case) ma usando come supporto il compensato pressato spesso due o tre centimetri, con possibilità molto poetiche riguardo la materia grezza. Il risultato mi soddisfaceva, ma io sentivo che volevo cercare anche altro, volevo raccontare il mio mondo epico contadino da Far West in estinzione e per farlo adeguatamente dovevo poter avere anche una precisione di segno del lavoro maggiore cosa che il legno di compensato mi dava fino ad un certo punto e poi il supporto non mi soddisfaceva abbastanza. Sul legno facevo grosse campiture di fuoco con poca precisione su cui poi inserivo fogli semi colati di bitume e catrame incisi, ma per il figurativo che volevo fare non era possibile, dovevo usare le punte più o meno sottili del pirografo in abbinamento con la fiamma ossidrica più larga e a volte un po’ più ristretta. La folgorazione di un piccolo scampo di pelle che aveva mia madre che usava a volte per fare delle toppe ai nostri gomiti o alle ginocchia dei pantaloni da lavoro fu il punto di svolta. Non pensai affatto all’inizio al problema “Etico” che stavo usando della pelle animale che aveva fatto da involucro ad un essere vivente, dopo qualche primo lavoro mi si pose il problema e lo risolsi pensando che io andavo a procurarmi queste pelli per lavorarle con il fuoco per ridare la Dignità perduta a quegli animali che erano stai uccisi dagli uomini. Io in modo sciamanico gli ridavo vita, li ricordavo. Lavorandoci dentro creavo un rito di purificazione vero e proprio come fosse una performance. Rappresentavo in più i nostri Animali guida, la nostra parte animale autentica. Vedere ed annusare Milano mi ha portato a far uscire fuori da me il Fuoco del Drago che porto dentro.
Milano è stata la scintilla del fuoco! E poi c’è stato l’approdo alla Pelle!

Sei anche un performer. Quali emozioni provi nel corso di una performance?

Sono un performer antelliteram, tutto è iniziato d’istinto, la mia vena animale sensitiva mi ha guidato. Solo nella maturità sono andato da qualche performer vero e proprio a farmi dare un metodo, un rigore per migliorare i progetti ed i suoi svolgimenti, uno di questi è stata l’artista Liuba e poi Luca Rossi. L’emozione primaria che provo…è l’emozione di bruciare all’interno delle mie diverse pelli in cui è ricoperta la mia anima. A volte è un vero e proprio deragliamento di tutti i sensi come disse il giovane e grande poeta Arthur Rimabud riguardo alle sue poesie. Ho cercato l’esposizione diretta senza freni inibitori del mio mondo interno e col senno di poi certi critici incontrati dopo a Milano mi hanno considerato superficiale e un po’ troppo naif senza abbastanza controllo mentale su questa materia così infuocata e fluida tanto da dire che tutto quello che butti fuori se non selezioni e lo mediti abbastanza può essere solo “espressione bruta”, ma non arte. IO desideravo subito buttare “fuori” in meno tempo possibile con la mediazione della mente abbreviata il più possibile per non far raffreddare eccessivamente il magma interiore che è la scintilla delle creazioni per non rischiare di “recitare” per stare fuori dal recinto del cosidetto “Mestiere”. Volevo solo far vedere l’emozione furente senza mediazione alcuna senza nemmeno l’attrito della materia che a volte frena l’idea e l’emozione estatica. Ma non è possibile ahimè! Con il senno di poi molto ho cambiato verso questa mia disposizione d’animo e lavoro.

Fisicamente tali prestazioni richiedono un dispendio energetico non indifferente.
Come reagisce il corpo durante e dopo?

Un enorme dispendio di energie fisiche e mentali, che spesso mi ha lasciato dopo l’evento come una ameba in balia del silenzio più profondo. Un truciolo di carne e ossa alla deriva.
Lo assimilo molto all’attimo dopo che si è fatto l’amore, a quel momento che chiamano “Piccola Morte”, quando l’atto sciamanico è forte sconvolgente questa sensazione può perdurare settimane sulla tua mente, e nel tuo corpo, in più spesso ha modificato parte della rete neuronale e di conseguenza anche certi atteggiamenti del corpo, certe sue posture! Qui la performance diventa quando fatta seriamente come esigenza assoluta un vero rito sciamanico vero e proprio. E penso che debba proprio essere così per andare nel profondo dell’artista stesso e delle persone che assistono all’evento performativo. Mi sono accorto che mi nasce il progetto di una performance, quando sono a compimento di qualcosa che sancisce un cambio interno del mio essere, qualcosa di maturo è pronto ad uscire e ad inondare il mondo esterno a me.
Prima di questo però mi erano state date da qualcun altro queste indicazioni, veri maestri esperti di questi cosidetti Riti, che poi io da artista inglobavo facendole mie a tal punto di modificare ed aumentare l’intensità delle componenti che mi erano state dettate.
Spesso da un atto sciamanico sono riuscito a creare una performance che ho poi potuto rappresentare come opera a sé stante, ma molte volte queste sono cose da fare di nascosto e non devono essere visibili, perchè il loro compito è solo per quelli che le fanno che gli serve per evolvere o guarire da disagi interiori e nessuno deve venire a sapere qualcosa.
Dopo un certo esercizio ora riesco a fare le due cose nello stesso tempo, ne ho un valore intimo e di guarigione e allo stesso tempo un vero valore artistico. Comunque creare è sempre se fatto con emozione, passione ed autenticità un atto sciamanico vero e proprio con tutte le sue conseguenze.

Infine, cosa significa essere artista?

Ah…saperlo!? Per me è vivere seguendo le mie più genuine inclinazioni sia animali che umane da intellettuale, sì, perché un artista è e deve essere anche un intellettuale emotivo, ma in modo particolare più genuino di quello che si pensa.
Un animale intellettuale emotivo.
Questo trinomio!! Un artista è un sismografo fatto di pelle e terra ed anima e trema sempre tutto per tutto il suo tempo di vita e creazione, questa è anche la sua condanna. Da ragazzino certe persone pensavano che definendomi scherzosamente” Ma Sei un Artista!” di farmi piacere, invece a me creavano disgusto, perché intuivo il disagio e la condanna a cui sarei andato incontro in vita.

Frammenti dell’io, collettiva d’arte a cura di Maria Marchese e Valeriano Venneri

Inaugurazione

Giovedì 27 Gennaio 2022 presso “QUO IMMOBILIARIA”, Calle Canalejas 13, nella città di Alicante (ES).

Chiusura

Mercoledì 27 aprile 2022.

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