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Sara Arnaù: pastelli, grafite e gessetti come strumenti di indagine

| Mara Cozzoli |


Le opere di Sara Arnaù nascono da un’urgenza psico-fisiologica che precede il concetto e prende forma nel segno e nel colore, nel rapporto tra presenza e assenza.
Il suo lavoro si muove in uno spazio di attenzione e sospensione, nel quale il gesto assume una funzione conoscitiva.
Pastelli, grafite e gessetti costituiscono strumenti di indagine, scelti per la loro natura “secca” e per la libertà che offrono al gesto.

Parliamo un po’ di te. Qual è stato il tuo primo approccio all’arte?

Ho iniziato questa avventura davvero in tenerissima età, a partire dall’infanzia, ovvero dai 3-4 anni, già nel periodo prescolare.
Mi divertivo nel creare piccole scene a matita o con i pennarelli e anche creare dei piccoli collage ritagliando e giustapponendo sagome e forme le une sulle altre.
Mi piaceva l’idea di poter giocare con questi elementi e di poter creare dei significati e delle visioni nuovi rispetto a quelli di partenza.
Provavo sempre una sorta di euforia alla fine, come se stessi creando qualcosa per me di molto speciale, con un significato emotivo, che meritava una cura e un’attenzione particolari. L’azione ripetuta ha portato al consolidamento di una attività vera e propria, che i miei genitori hanno sempre sostenuto e supportato.
Se ripenso al mio inizio di percorso trovo tutti gli ingredienti che poi ho sviluppato con molta spontaneità in seguito.

Utilizzi spesso il pastello. Da cosa nasce questa scelta?

Mi hanno sempre affascinato i materiali che non hanno bisogno di essere diluiti e che nella dialettica con il supporto possono creare risultati sorprendenti e molto variabili.
Le materie “secche” come le matite colorate, i carboncini ed i gessetti, sono per me molto più interessanti come strumenti di indagine perché mi permettono di raggiungere un grado di raffinatezza, precisione e molta libertà nei gesti espressivi. Direi che nasce da un’intesa fra “sensibilità”.

Aggiungere rimovendo, 2023, grafite, matite colorate su carta, 42 x 31 cm,

Il colore nei tuoi lavori è vivifico. Come lo scegli? In che modo diventa veicolo di emozione e pensiero?

Il colore, e il rapporto tra essi, nei miei lavori non viene scelto, inteso nel senso dell’essere guidato da una volontà cosciente, ma esso si manifesta da un libero gioco e intuizione che seguo e assecondo durante tutto il processo di creazione di un lavoro. Vedo immediatamente l’armonia che potrebbe esserci se metto un determinato colore accanto ad un altro.
Si crea una specie di flusso per cui non devo operare delle scelte ma semplicemente seguire il mio intuito interno, il mio gusto, il mio sentire.
La relazione con l’emozione è abbastanza sinestetica: alcuni colori portano immediatamente tutta la composizione verso una gamma di emozioni precise e subito coglibili. L’emozione si misura anche nella pressione con cui io premo il pastello/gessetto sulla carta o sulla tela.
Tutto allora si trasferisce dal visivo al tattile.

In alcune composizioni cedi però spazio al bianco e nero. Quale funzione svolge nell’esplorazione della forma, della luce e della tensione visiva?

Il bianco e il nero delle opere più datate vengono utilizzati come modalità di esplorazione più del mezzo che del risultato o di una coerenza dell’immagine. Il nero-grigio della grafite diventa quel modo delicato di porsi a contatto sulla superficie della carta; una carta che varia di grammatura e che determina anche dei cambiamenti nell’uso e nel risultato del mezzo. Lo spazio che il nero prende all’interno della composizione è dettato dalla mia scelta nell’immaginare e dunque vedere la medesima composizione come illuminata da una o più fonti di luce. In questo modo la luce è vivificata dal bianco, dall’assenza di nero, dall’assenza di contatto sulla superficie: dalla superficie neutra stessa. Il bianco, quindi, si pone come spazio non da riempire ma inteso come già pieno e che partecipa alla creazione di un equilibrio visivo ed emotivo. Il nero, di conseguenza, viene utilizzato come forma-presenza per la rappresentazione di ombre, che partono dalle sagome e si allungano nello spazio. Le forme, o sagome, vengono presentate sotto forma di contorni, campi distinti, che delimitano la presenza dei soggetti rispetto a ciò che non appartiene loro.
Lavorare con due opposti, il bianco e il nero, mi permette di spostare la mia attenzione anche su altri aspetti meno “visivi” e più di gestuali/tattili.
Bisogna ricordarsi che la maggior parte delle opere in questione sono di grandi dimensioni e che entra in campo un riferimento all’agire e all’essere fisici, corporei, ed essere completamente coinvolti nel gesto.

Aggiungere rimuovendo, 2023, grafite, matite colorate su carta, 42 x 31 cm.

Ogni artista elabora una propria filosofia. Se dovessi condensare la tua poetica in una parola, in un concetto o in una sensazione, quale sarebbe e perché?

Io parto sempre dal fatto che ciò che creo deriva da una urgenza che è innanzitutto psico-fisiologica, e poi diventa culturale e antropologica. Dipingere è un modo per realizzare ciò che è possibile, mentre sto imparando a farlo. La chiave è trovare un metodo di lavoro che consenta di potersi muovere con un certo margine di scelta e, di conseguenza, di responsabilità. 
Questo comprende anche come ti muovi e quali significati possono assumere per te. Bisogna mettersi nella condizione di sperimentazione costante.
Il mio lavoro si concentra su quei tempi e spazi di sospensione, in cui il negativo e l’assenza si fanno paradigmi di un nuovo modo di pensare all’immagine, intesa come oggetto dotato di riconoscibilità attenta. Il margine, il non visibile, seppur davanti agli occhi, il negativo del positivo, il doppio al negativo, lo stesso ma diverso, sono alcuni dei concetti che trovano senso nelle mie opere.

Come sviluppi il tuo processo creativo, dall’idea iniziale alla forma definitiva?

Non mi avvalgo di studi preparatori o bozzetti per la realizzazione di un’opera, ma inizio subito ponendomi davanti alla tela o alla superficie, in modo deciso, cercando di captare qualche sentore o interesse in grado di direzionare il lavoro e renderlo meno “guidato” da me. All’inizio c’è sempre un momento in cui una gamma di immagini mentali entrano nel campo della possibilità e quindi mi accingo subito a fermarle su quel grande spazio immacolato del supporto.
La narrazione si sviluppa attraverso un percorso entro cui cerco di stabilire fin da subito le dinamiche o la costruzione della scena.
Il dialogo si sposta molto facilmente dall’immagine ai materiali con cui viene realizzata.
Nel caso dei lavori su carta poi, i colori, da ruolo di ombre, finiscono per dominare in modo preponderante la scena e le numerose sagome presenti con stratificazioni cromatiche, lasciandole visibili solo nei loro contorni.
A volte l’unico modo per far vedere queste figure è omettendole, cioè tagliandole fuori dal campo della raffigurazione, ritagliando letteralmente la superficie; portando la figura al grado negativo: presente ma assente; assente e quindi ancora più presente e visibile di prima.
L’opera è conclusa quando sento che l’energia mentale è già da un’altra parte.

Quale ruolo assumono l’intuizione e la sperimentazione rispetto a una pianificazione concettuale?

Molto spesso è la sperimentazione e l’affidarsi al proprio intuito che porta facilmente al delinearsi di una poetica o di un concetto che fino a quel momento non si vedeva o non si percepiva con chiarezza. I due aspetti, nel mio modo di relazionarmi al lavoro e nel mio modo di pensare e di comprendere, non sono mai invertiti.
Prima faccio, poi capisco come dare un nome a ciò che vedo. La ricerca, talvolta, emerge da sé e noi artisti abbiamo solo il compito di renderci conto di ciò che in realtà ci ha sempre suscitato un particolare interesse, ma non in quelle forme, non in quel modo.
Certe propensioni mentali verso alcune tematiche concettuali-formali diventano chiare solo quando ci si ferma a guardare quello che si è fatto fino a quel momento.
L’intuizione, legata ad una certa intelligenza manuale, è per me fondamentale in tutte le fasi di lavoro.

Pathosformeln VI,2023, grafite e matite colorate su carta, 29,7x42cm

Quando un osservatore si confronta con il tuo lavoro, quale tipo di esperienza vorresti emergesse?

Allo spettatore che si rapporta per la prima volta con il mio lavoro, non chiedo mai nulla di prestabilito. Né lui a quello che realizzo.
Quello che sicuramente è auspicabile è un certo grado di attenzione e di cura: cura per lo spazio contemplativo che esso intende e deve voler riservarsi per osservare il mio lavoro. L’esperienza contemplativa porta con sé una forma di chiarezza mentale e di lentezza che può accompagnare l’osservatore anche quando ha smesso di guardare il mio lavoro.
Vorrei lasciargli il dubbio di non avere visto bene tutto, di non poter vedere davvero bene tutto il visibile.

Immagine in evidenza
Untitled 2023, grafite, matite colorate su carta, 42 x 31 cm

Mara Cozzoli

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