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“Quella che non sei”: tra ricerca dell’identità e il peso invisibile dell’anoressia.

| Mara Cozzoli |

“Quella che non sei” di Luciano Ligabue, quinto singolo estratto dall’album Buon compleanno Elvis del 1995, si apre come uno sguardo intenso e vulnerabile su chi fatica a riconoscersi.
Il brano penetra nell’intimità di chi vive sospeso tra aneliti inespressi e aspettative troppo opprimenti. Il pezzo musicale si configura come un ritratto sommesso dell’identità in frantumi, un’esplorazione delle maschere imposte e del conflitto con la propria interiorità.

“Eri in mezzo a tutte le parole che
Non sei riuscita a dire mai
Eri in mezzo a una vita che poteva andare, ma
Non si sapeva dove
Ti ho vista fare giochi con lo specchio
E aver fretta d’esser grande
E poi voler tornare indietro
Quando non si può”

In questi versi risuona un senso di profondo disorientamento. La figura centrale è intrappolata tra ciò che vorrebbe esprimere e ciò che resta celato, tra un’esistenza che scorre e la spinta a rifugiarsi in una dimensione più rassicurante. I “giochi con lo specchio” suggeriscono un rapporto problematico con l’immagine corporea, un contrasto tra l’urgenza di crescere troppo in fretta e il bisogno di tornare a una dimensione protettiva.
Non riguarda solo l’insicurezza dell’adolescenza: simboleggia il modo in cui chi lotta con l’anoressia cerca di dare ordine a un Io percepito come incompleto, utilizzando il controllo sul corpo per affrontare emozioni spesso ingombranti e incomprensibili.
In questo paradosso, ci si rende invisibili e al tempo stesso si pretende che questa invisibilità venga vista: un grido silenzioso, dove l’abisso diviene presenza estrema, e il rifiuto del nutrimento si trasfigura in linguaggio segreto che parla attraverso il buio e la rinuncia, là dove le parole non trovano spazio.

“Io ti ho vista già
Eri in mezzo a tutte le tue scuse
Senza saper per cosa
Eri in mezzo a chi ti dice, ‘Scegli, o troia o sposa’
Ti ho vista vergognarti di tua madre
Fare a pezzi il tuo cognome
Sempre senza disturbare
Che non si sa mai”

Qui le parole si fanno più affilate, più sociali. Emergono le pressioni esterne, i ruoli imposti, la crudele semplificazione di una femminilità ridotta a cliché. La protagonista si trova tra la colpa e la vergogna, fino al distacco dalle proprie radici. L’ avversione verso la figura materna e lo sminuire persino il proprio cognome sono metafore potenti che evocano legami familiari disfunzionali, dove l’origine stessa diventa fonte di dolore e mutismo. Il bisogno di adattarsi senza disturbare è espressione di come la paura del giudizio e il timore della non accettazione possano erodere l’individualità, fino ad annullarla. In chi soffre di disturbi alimentari, questa sofferenza psichica si traduce spesso in un corpo che diventa teatro di compensazioni e, al contempo, strumento di comunicazione.

“C’è un posto dentro te in cui fa freddo
È il posto in cui nessuno è entrato mai”

Il passaggio finale racchiude l’anima del brano. Quel “posto freddo” è il punto più privato e nascosto dell’Io, dove si condensano angoscia e tenerezza. È un nucleo inaccessibile, spesso custodito con timore di essere travisati. Per chi affronta la lacerazione dell’anoressia, questo luogo rappresenta insieme rifugio e prigione: solitudine estrema, ma anche punto di partenza. Riconoscerlo significa iniziare a guardare in faccia la propria ferita, spalancando la porta alla consapevolezza, all’accettazione e alla cura.

Ligabue riesce così ad afferrare la complessità dell’essere, mostrando con eleganza quanto sia arduo vivere in un mondo che esige esattezza e decisioni immediate. “Quella che non sei” non è solo una canzone, ma una meditazione poetica sull’essenza ferita, sulle cicatrici che abitano corpo e mente, e sulla possibilità—nonostante tutto—di intravedere un cammino verso l’autenticità.

Mara Cozzoli

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