
Francesca Albanese e l’onestà intellettuale.
Nel cuore oscuro di una “diplomazia” ormai non più tollerabile, Francesca Albanese è emersa come una voce di rara chiarezza etica.
Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, con il suo ultimo rapporto “From economy of occupation to economy of genocide” datato 30 giugno 2025, non lascia spazio a equivoci: si tratta di un “tentativo intenzionale di annientare il popolo palestinese”.
Ella non si è limitata a una sterile cronaca della devastazione di Gaza, ma la qualifica con precisione giuridica e morale come un crimine. E non un crimine qualunque, ma un genocidio, accompagnato da tutti gli elementi che questa definizione implica. L’occupazione israeliana viene denunciata per ciò che è realmente: colonialismo e dominio sistemico, un’architettura di oppressione legalmente inaccettabile.
Non più, quindi, retorica ideologica.
L’agire di Francesca Albanese poggia su una ricerca meticolosa, costruita su testimonianze dirette, atti legali e precedenti giuridici solidi.
È stato un lavoro che non ha solo scoperchiato crimini di guerra, ma ha denunciato la rete di responsabilità strutturali che li sostengono e perpetuano.
Uno degli aspetti più inquietanti è, sicuramente, l’analisi dell’economia che sostiene la macchina di occupazione e repressione nei territori palestinesi.
Non si tratta di una casualità o di una contingenza temporanea, bensì di un sistema economico complesso e radicato, che alimenta il dominio israeliano.
La documentazione ha svelato la complicità di 48 aziende che lucrano direttamente sull’occupazione. Sono imprese, operanti in settori chiave quali telecomunicazioni, tecnologia, finanza e infrastrutture, non sono meri attori economici neutrali: sono architetti e guardiani di un sistema che calpesta diritti fondamentali.
Tra i nomi citati si trovano Airbnb, Booking.com ed Expedia, piattaforme che facilitano e normalizzano la commercializzazione di proprietà costruite illegalmente nei Territori Occupati, trasformando l’espropriazione in un fatto compiuto e finanziandola con i flussi turistici globali. Motorola Solutions fornisce tecnologia per sorveglianza e repressione, mentre le banche israeliane Bank Leumi e Bank Hapoalim finanziano l’espansione degli insediamenti illegali e lo sfruttamento delle risorse naturali palestinesi.
Albanese ha posto l’accento su un paradosso devastante: molte di queste aziende mantengono relazioni contrattuali con le stesse Nazioni Unite.
Un bel cortocircuito ha minato la credibilità del sistema multilaterale e ha messo in crisi l’integrità delle istituzioni internazionali.
Come può un organismo fondato sulla giustizia e sui diritti umani collaborare con chi alimenta violazioni tanto gravi? Quale segnale invia alla comunità globale e, soprattutto, alle vittime?
L’onestà intellettuale, come spesso accade, paga un prezzo.
Gli Stati Uniti hanno sanzionato la donna, motivando la decisione con accuse di “commenti antisemiti ripetuti”, prive di qualsiasi fondamento probatorio.
Questa decisione è stata immediatamente condannata da accademici, giuristi e organizzazioni per i diritti umani, definiti strumenti di repressione politica. L’Alto Commissario ONU per i diritti umani, Volker Türk, ha parlato di un precedente pericoloso, mentre il portavoce del Segretario Generale ha espresso preoccupazione per la penalizzazione di una figura indipendente, legittimata dall’Assemblea Generale.
Alla comunità internazionale pongo due domande, secche e precise: quale affidabilità può avere un apparato che punisce chi denuncia misfatti e tace o protegge chi li commette o li finanzia? È giustizia quella che si applica solo quando non interferisce con equilibri politici e interessi economici?
Francesca Albanese, da professionista, con occhio vigile e imparziale, ha svolto il compito che il suo ruolo le imponeva: questa è la realtà primordiale.
Mara Cozzoli
