
Il sangue implora, ma Netanyahu non ascolta.
C’è un dolore che urla. Un grido straziante che attraversa muri, confini, oceani.
È il pianto di una madre che stringe tra le braccia il corpo senza vita del figlio, strappato via da una bomba.
È lo sguardo vuoto di un bambino che non sa più cosa significhi vivere senza paura, affamato, scheletro di di se stesso.
È la voce rotta di chi scava tra le macerie, sperando di trovare un respiro, un battito, un segno di vita.
Ma nel cuore del potere, quel grido si perde nel silenzio calcolato di un criminale.
Perché lui, quel dolore, lo conosce. Lo vede. Lo provoca.
Netanyahu ha costruito la sua carriera politica sulla corruzione, sul fuoco, sull’odio e sulla distruzione.
È il volto impassibile dietro i raid notturni, dietro le case sventrate, dietro le migliaia di corpi mutilati.
È l’architetto di un sistema che umilia, schiaccia, disumanizza un intero popolo.
Gaza? Una prigione a cielo aperto.
La Cisgiordania? Una terra rubata a colpi di ruspe e beata tranquillità internazionale.
I palestinesi? Non persone, ma numeri da cancellare. Colpevoli di esistere.
E tutto questo avviene con la maschera della democrazia.
Netanyahu, un criminale, che si presenta come un difensore della sicurezza, ma è lui stesso a fabbricare l’instabilità.
Si proclama protettore del popolo ebraico, ma tradisce ogni valore umano, ogni insegnamento della sofferenza passata.
Ha fatto dell’orrore un’abitudine. Ha normalizzato la morte. Ha trasformato il dolore in strategia politica.
Ogni giorno che Netanyahu resta al potere è un giorno in cui l’umanità fallisce. È un giorno in cui i valori di giustizia, compassione e pace vengono calpestati. È un giorno in cui il mondo intero dovrebbe provare vergogna.
Non è più tempo di analisi fredde, di equilibrismi diplomatici, di silenzi complici. È tempo di urlare. Di chiamare le cose con il loro nome. Quella che Netanyahu porta avanti non è difesa: è brutalità. Non è politica: è oppressione. Non è sicurezza: è violenza sistematica.
E mentre lui resta saldo al comando, milioni di vite vengono sacrificate sull’altare del potere.
Ma verrà un giorno – dovrà venire – in cui i tribunali non basteranno a contenere le voci dei morti, delle madri, dei bambini. Verrà un giorno in cui anche le pietre racconteranno quello che il mondo ha finto di non vedere.
Perché il sangue urla.
E la storia ricorderà chi ha avuto il coraggio di ascoltare.
Un genocidio è in corso d’opera e un popolo, in modo atroce, si spegna.
Gaza muore, naufraga in un mare senza sponde.
Immagine in evidenza creata da: Stefano Cozzoli, graphic designer
Mara Cozzoli
