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Idroterapia e patologie neurologiche complesse nei bambini. Intervista a Antonia Noja, direttore Centro Tog

| Mara Cozzoli |

La piscina idroterapica del Centro TOG a Milano costituisce uno dei fiori all’occhiello della struttura.
In acqua, infatti, grazie alla parziale assenza di gravità, anche i bambini e i ragazzi affetti da patologie complesse hanno la possibilità di muoversi, giocare e rilassarsi in un ambiente sicuro, abbandonando per un momento carrozzine, deambulatori e tutori.
Dialogo, oggi, con Antonia Noja, direttore centro Tog

Presa in termini generici, l’idroterapia altro non è che la terapia con l’acqua, riabilitazione dopo una frattura, ad esempio. Nel vostro settore è qualcosa di più complicato in quanto trattate paralisi cerebrali infantili.

Esatto.
L’idroterapia può essere considerata in termini generici ma, nel nostro campo, è specifica e consiste nella riabilitazione di patologie neurologiche complesse dei bambini.

Come avviene?

È una terapia che ha luogo in piscine che hanno una climatizzazione particolare perché il calore della piscina non deve essere inferiore ai trentatré-trentaquattro gradi, quindi, con acqua molto calda.
I nostri bambini vengono  a contatto con acqua e terapisti che sono anche idro-terapisti e, praticamente,  in acqua riproducono modalità e tecniche riabilitative fatte a secco, cioè sulla terra.

Quali competenze richiede?

Richiede sia  competenza fisioterapica che fisioterapeutica, legata cioè alla comprensione di cosa accade al corpo leso quando non c’è la forza di gravità ma una spinta idrostatica che va ad annullare l’effetto della gravità.
Sono terapisti di terra ma che hanno fatto corsi particolari e sono in grado di applicare tecniche di acquaticità e in acqua fanno fare ai bambini un certo tipo di esercizi come la rotazione del bacino, sostegno della testa, oppure li verticalizza e li fa deambulare con prese specifiche alle anche.
C’è, comunque, sempre una sorta di super visione fatta da neuropsichiatri infantili.

Per quale motivo si usa?

Noi trattiamo, fondamentalmente,  paralisi cerebrali infantili,  cioè ferite  al cervello che i bambini hanno dalla nascita e che possono essere dovuti a traumi da parto o da patologie presenti all’interno dell’organizzazione uterina che non sono state evidenziate.
Tutto ciò comporta nel bambino, fin da subito, una situazione cerebrale non perfetta perché il cervello ha subito una lesione dal quale derivano conseguenze gravi sia sugli esiti della motricità sia della comunicazione che della capacità cognitiva.
I nostri bambini sono, dunque, complessi e con deficit molto gravi.
Oltre a tutte le tecniche di riabilitazione a cui li sottoponiamo come fisioterapia, logopedia, terapia cognitiva e comportamentale abbiamo voluto aggiungere il beneficio apportato dall’acqua.
Procedo per esempio: quando la muscolatura spastica entra a contatto con quest’ambiente che avvolge il bambino, può detendersi, può lasciarsi andare.
Nei bambini con una grave compromissione degli arti superiori, inferiori, della posizione della testa o del tronco in stato, quindi,  di irrigidimento generale della muscolatura, il contatto con l’acqua e con un certo tipo di manovre comportano un rilassamento che su un tappeto, a terra nella stanza in cui facciamo fisioterapia, non riusciamo a ottenere.
Per raggiungere questo risultato la temperatura dell’acqua deve essere alta.

Quali sono gli obiettivi?

Il rilassamento e il benessere corporeo.
Questi corpi che non sono abituati a una condizione di benessere perché sottoposti continuamente a contrazioni involontarie possono, in quell’ambiente,  lasciarsi andare.
Il posizionamento del corpo nell’acqua, dato che non c’è gravità, permette a bambini che non sono mai stati in posizione eretta e che non hanno mai deambulato autonomamente, di provare la sensazione di questi movimenti.
Aiutati dal terapista, con particolari prese al bacino o alla schiena i bambini possono fare i primi passi in quanto, in questo caso, la loro posizione motoria glielo permette.
Quello che le sto dicendo non significa che una volta usciti dall’acqua che tutto questo si può riprodurre, però per la parte di legamenti, muscoli, articolazioni e di corretta percezione è estremamente importante.
Inoltre, l’idroterapia attutisce e previene dolori che in una condizione di totale contrazione sono presenti nei nostri bambini.

Ricorderei che molti di questi bambini non hanno il linguaggio.

Esatto, ed è difficile che possano comunicarci il dolore.

Alle terapie già applicate avete, quindi, aggiunto l’idroterapia. Come è nato il vostro progetto piscina?

Abbiamo vinto il bando del comune per la rivalorizzazione delle vecchie docce pubbliche situate in Via Livigno-Viale Jenner, docce in cui, negli anni 60’, andavano i milanesi a lavarsi.
Una struttura posta in una zona fatiscente della città, in pessimo stato e, spesso, occupata.
Ci è stato dato il terreno, la costruzione è stata tutta finanziata da privati, con le nostre forze e risorse.
Il regolamento per dare in comodato d’uso per tanti anni il terreno richiedeva che la mappa strutturale non fosse modificata, allora abbiamo abbattuto le vecchie docce e mantenuto la pianta.  Era possibile però aumentare la superficie, salendo o scendendo, quindi abbiamo sfondato in giù e creato la piscina.
Abbiamo per cui organizzato l’abbassamento nel terreno e costruito la piscina idroterapeutica che risponde a tutta una serie di caratteristiche strutturali adatte ai nostri bambini.
Altra cosa importantissima che quest’ultima possiede è un sistema di sicurezza (sistema Angel Eye for Therapy)  necessario,  molto particolare e superiore rispetto alla comune sicurezza.
È un sistema elettronico- tecnologico molto avanzato, dotato di una serie di telecamere anche interne alla piscina che, da una parte ci segnala immediatamente se c’è qualcosa di strano o se qualcuno entra in piscina e non è sorvegliato, dall’altra permette una monitorizzazione delle terapie.
Nella scienza, dimostrare che le terapie riabilitative  hanno valenza nella parte clinica (valutazione quantitativa) è fondamentale, perché dimostrano i frutti dati dalle terapie.
Questo sistema di monitoraggio che non è legato a elettrodi, ma è un sistema di telecamere interne che fanno vedere il tipo di lavoro,  ci permette di misurare alcune parti del corpo.
Per esempio, una flessione del ginocchio c’è sempre in queste patologie, attraverso questo sistema possiamo vedere se, nel corso del tempo, attraverso le terapie, la flessione diminuisce un pochino e se porta una lieve ma maggiore estensione.
I miglioramenti sono piccoli e richiedono molto tempo.

Un sistema sofisticato che richiede un team preparato…  

Sì, infatti non ci lavoriamo solo noi come Fondazione Tog ma abbiamo anche il contributo importantissimo del Politecnico di Milano.
Abbiamo anche il supporto di ingegneri e bio-ingegneri che hanno una grande dimestichezza con questi strumenti tecnologici.
Il Politecnico, che ha stretto una convenzione con noi, ci ha messo a disposizione un gruppo di dottorandi specializzati in questa cosa e che lavorano con i nostri terapisti.
Questi giovani ingegneri usano i dati offerti dalla tecnologia e ne fanno una meta analisi di tipo quantitativo.
Il legame tra ingegneri e idroterapisti ha un interesse enorme dal punto di vista scientifico, sono due categorie che possono portare un risultato di pensiero di scienza straordinario.

Poc’anzi abbiamo parlato dell’idroterapista, spiegandone le competenze professionali.  A livello umano, invece, quali caratteristiche deve avere?

Questa è una domanda da cento punti.
Le nostre patologie sono molto gravi e il tema cruciale è che per questi bambini, l’obiettivo vero che si può realisticamente perseguire è un miglioramento delle condizioni di vita, non esiste prospettiva di guarigione.
I professionisti devono avere grandi competenze scientifiche che e una forte capacità di empatia.
L’empatia, in questo caso, significa comprendere lo sforzo che fa il bambino ma anche la famiglia da quando inizia la giornata a quando finisce.
La fatica professionale ha una consumazione, perché tutto il giorno ci troviamo innanzi a situazioni dolorose.
Devo dire che il tema nostro è lo studio del cervello che è una delle cose più affascinanti che c’è nella clinica e nella medicina.
La fatica e la ricerca di empatia sono compensate dal punto di vista scientifico perché quando vediamo il miglioramento e li studiamo è come se studiassimo il funzionamento della mente umana.
L’empatia da sola non basta.
Occorre la capacità di vedere i micro cambiamenti.
Raggiungere una determinata posizione  per noi che non abbiamo questo problema è niente, ma per il bambino e la famiglia è tantissimo.

È tema saliente quello della guarigione, parliamone.

Sì, perché chiunque sostenga che si possa normalizzare o guarire un bambino che ha una paralisi cerebrale infantile o una sindrome genetica rara con grave ritardo mentale dice una cosa non vera.
Lo dico in maniera franca perché su questo punto si sono anche sviluppate molte speculazioni.
Non è possibile normalizzare queste situazioni, però quello che si può fare è migliorare molto la qualità della vita.
Le ho fatto l’esempio del dolore e del rilassamento.
Pensiamo anche alla comunicazione: bambini che si pensava non avrebbero mai parato, attraverso strategie logopediche raffinate, non sono arrivate a un linguaggio che stiamo usando io e lei in questo momento, però sono arrivati a elementi comunicativi che permettono delle scelte.
Ad esempio se il piccolo vuole mangiare una brioches oppure il pane con la marmellata è una scelta e permettere questo tipo di comunicazione apre un mondo.
Noi abbiamo anche molte tecnologie come il puntatore oculare che permettono di avere una qualità di vita migliore.
Siccome questo tipo di patologie hanno la caratteristica di non finire mai, per la famiglie è faticoso e brutalmente doloroso questo percorso.
Avere un centro e un gruppo che si occupa in modo intenso di questi bambini è un valore aggiunto.
Fondazione Tog, inoltre, non fa pagare le terapie.

Le famiglie, non dimentichiamole. Quant’è dura per loro?

È molto dura.
Molte di queste patologie arrivano come un fulmine a ciel sereno e non possono essere neanche essere riscontrate prima della nascita.
A volte, sono famiglie molto giovani e per loro comincia una vera odissea: devono girare, chiedere… da questo punto di vista internet è un bene e un male, un bene perché da molte informazioni, un male perché molte informazioni non sono scientificamente corrette o danno illusioni.
Per loro è una ferita narcisistica che, addirittura, la letteratura medica definisce come superiore al lutto perché un lutto lo si può, in qualche modo, elaborare una ferita come questa, invece, rimane sempre accanto.
Sono bambini che, spesso, non hanno autonomie e piccoli gesti della vita quotidiana c

Mara Cozzoli

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