giovedì, Maggio 2, 2024
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Assistente Materna. Intervista a Andrea Benlodi, Direttore Struttura Complessa di Psicologia Clinica e Territoriale ASST Mantova.

Dopo aver affrontato la figura dell’ “Assistente Materna“ insieme alla dottoressa Sonia Ferrarini, dialogo, oggi, con Andrea Benlodi, psicologo, psicoterapeuta, psicoanalitico esperto di perinatalità e Direttore della Struttura Complessa di Psicologia Clinica e Territoriale ASST Mantova.
Ancora una volta ne emerge la forte discutibilità.

Entriamo subito nel vivo della questione. Chi è l’assistente materna? In cosa consiste questa figura?

Da quanto uscito sulla stampa, sembra trattarsi di una figura non sanitaria dedicata alla cura delle mamme nel post parto, volta a compensare  la rete di aiuti intra familiari che si è andata a lacerare con le migrazioni, specialmente nelle grandi città. Avrebbe la funzione di rispondere a “piccoli quesiti” posti dalle neo mamme, che per le stesse potrebbero rappresentare invece gravi problemi, ed intercetterebbe le situazioni di disagio ( quale?) e a rischio depressivo. Il Corriere.it dice “ Incaricata di stabilire un rapporto personale e diretto con la neo madre e di fornirle aiuto sia nelle questioni più semplici e pratiche della maternità, sia in quelle più complesse”( quali? Il vissuto di semplice è soggettivo)

Sappiamo che per ottenere questa “qualifica” occorre seguire un corso di 6/9 mesi. A chi è aperto questo corso? Soprattutto, è già stato reso noto come verrà strutturato questo periodo di formazione?

Al momento non ho trovato informazioni in grado di rispondere alla sua domanda. È noto solo che non sarà richiesta una laurea per accedere ai corsi. Incontriamo qui il primo paradosso: Ad affrontare un problema complesso e delicato, come dichiarato da chi ha pensato alla creazione di  questa figura,   si mettono in prima linea le persone meno qualificate

Secondo lei, per lavorare in contesti fragili 6/9 mesi di corso sono sufficienti?

Solo se si trattasse di un corso di specializzazione/ perfezionamento/ approfondimento rivolto al personale che già opera nell’ ambito della perinatalità, come le ostetriche, gli psicologi, gli assistenti sanitari, gli infermieri pediatrici e neonatali.

Nell’esercizio di quella che sarà la sua funzione, come andrà a collocarsi cioè, verrà collocata all’interno di un team? Con chi andrà a collaborare?

La sua domanda pone un quesito importante: il lavoro sulla perinatalità è un lavoro che prevede il coinvolgimento di più figure professionali sanitarie ( medici, psicologi, ostetriche, infermieri, assistenti sanitari) e spesso anche sociali operanti in genere nel Consultorio, un servizio che si interfaccia con altri all’ interno di una rete socio sanitaria, come l’ Ospedale, il servizio di Psichiatria e delle Dipendenze. Viene precisato che questa nuova figura professionale non è di tipo sanitario, e non  viene reso noto in quale contesto organizzativo verrà collocata. Il suo operato verrebbe richiesto dalla donna stessa al di fuori di una rete di aiuto istituzionale, e questo è grave perché una richiesta di aiuto manifesta, spesso cela altre domande latenti che solo un professionista esperto può comprendere e indirizzare verso la figura più idonea a soddisfarle. Certamente una donna in difficoltà è libera di chiedere aiuto a chi crede e io non faccio riferimento solo al Servizio Sanitario pubblico, esistono infatti, per esempio,  gruppi di ostetriche private che offrono tutta una serie di prestazioni di grande competenza sia durante la gravidanza che nel dopo parto; ma si parla appunto di professioniste laureate e specializzate perfettamente in grado di riconoscere segnali di difficoltà, e conseguentemente di interfacciarsi con i Servizi appropriati. Una domanda rivolta a un non esperto rischia non solo di non venire compresa, ma addirittura di ricevere una risposta inadeguata.

Quale sarà o chi sarà il suo punto di riferimento?

Come ho detto precedentemente, non è chiaro se ed in quale rete di aiuto sarà inserita o se sarà una professione autonoma.

L’assistente materno è un supporto rivolto alla sola madre. Spieghiamo perché determinati sostegni dovrebbero essere, invece, rivolti alla coppia genitoriale e, dunque, a tutto il nucleo familiare.

La nascita di un bambino è un evento grandissimo all’ interno del nucleo familiare che coinvolge tutti i componenti della famiglia. Non si può parlare unicamente di aiuto alla madre ma si deve parlare di aiuto alla genitorialità perché una madre ha necessità del padre del bambino nella gestione della quotidianità e dei propri affetti sin dalla gravidanza,  un padre che spesso è in difficoltà tanto quanto la madre rispetto a questo nuovo compito. Entrano in gioco anche le figure dei nonni che sono importantissimi da un lato, ma può capitare che si sostituiscano nella funzione genitoriale, facendo sentire la coppia inutile e disorientando il bambino rispetto a chi rivolgersi in caso di bisogno. I disturbi depressivi interessano le madri nel 12% dei casi, i padri nel 10,5 % , non sono molto distanti e, spesso, i disturbi paterni si manifestano con una sintomatologia opposta a quelli materni. Vede quindi come non abbia senso parlare unicamente di assistenza alla coppia madre-bambino e come serva un professionista in grado di riconoscere dinamiche relazionali familiari, sintomatologie psichiche , stili di attaccamento.

Madre e figlio a quali difficoltà potrebbero andare incontro? L’assistente materno, sarebbe effettivamente in grado di individuarle? Potrebbe essere in grado, ad esempio, di individuare eventuali disturbi neonatali del neonato?

Madre e figlio potrebbero andare incontro a difficoltà di sintonizzazione, ma questo è largamente influenzato sia dalle esperienze dei genitori con le proprie famiglie d’origine sia dal proprio patrimonio genetico ereditato. Il neonato soffre se non trova una risposta adeguata ai propri bisogni, se non trova costanza e regolarità nei ritmi di accudimento, se sente di dovere provvedere da solo a soddisfare i bisogni il cui soddisfacimento prevede la relazione con un altro significativo. Tutto questo implica tanto studio delle relazioni familiari, del neurosviluppo, di epigenetica,  ed esercitazioni guidate da supervisori esperti come la baby observation, percorsi di anni di formazione, non certo 6/9 mesi .

L’intervento dell’assistente materno è garantito per soli sei mesi. Questo è un punto critico. Evidenziamo, in questa, situazione dove sta l’errore.

A sei mesi di età del bambino ci troviamo nella cosiddetta prima fase di separazione-individuazione ( Concetto formulato da Margaret Mahler, importante pediatra e psicoanalista americana) , cioè nel primo tratto del percorso che il bambino compie per diventare un individuo indipendente. Il bambino si sente sempre più padrone dei propri movimenti grazie alla coordinazione motoria, usa le mani, le porta alla bocca, afferra gli oggetti e li esplora, poco dopo inizierà a gattonare separandosi fisicamente da lei e familiarizzando con l’ambiente , sceglierà un oggetto ( pupazzi, pezzi di stoffa)  che gli farà compagnia , lo farà sentire a casa anche quando le figure familiari non saranno fisicamente presenti. Tutto questo percorso coincide spesso con la ripresa del lavoro della madre comportando sofferenza nella madre stessa e nel bambino. La consapevolezza di lasciare il figlio in mani sicure, siano esse della propria madre o suocera, che baby sitter fidate o assistenti al nido, non sempre solleva da sentimenti di colpa ed inadeguatezza che riguardano entrambi i genitori. In questa fase così delicata l’aiuto di questa figura professionale non sarebbe più previsto, costringendo la coppia a rivolgersi ad altre figure professionali sconosciute. Il legame instaurato con la professionista precedente che dovrebbe fungere da base sicura per affrontare le nuove sfide si verrebbe a spezzare. Anche qui se si ragiona in termini psichici, la questione è priva di senso, se non dannosa.

Per concludere: Ha senso investire nella creazione di questa figura quando mancano psicologi e ostetriche? Non sarebbe il caso di rafforzare l’organico già esistente?

A mio avviso assolutamente NO. Abbiamo una rete di servizi che è stata progressivamente sguarnita dai tagli dei governi sul Sistema Sanitario. Ho letto che mancherebbe il 60% di consultori previsti per l’assistenza alla genitorialità e alla famiglia . Mancano 20.000 ostetriche che sarebbero previste per il Servizio Sanitario Nazionale, e che sarebbero le professioniste preposte al tipo di assistenza descritto, non sono presenti psicologi nel numero di 1 ogni 20.000 abitanti all’interno dei consultori . Viene da sé che si dovrebbe ragionare per mantenere ed implementare quanto di valore si ha già invece di rattoppare queste falle con figure improvvisate di dubbia formazione.

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