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“Il Kung Fu è un processo in cui io sono consapevole del mio corpo“. Intervista a Antonello Casarella

Filosofia, psicologia, spiritualità e strategia.
Controllo di se stessi e stabilità del corpo.
A differenza di quanto il cinema racconta dietro alle arti marziali vi è un mondo, tutto da esplorare e tastare.
Dialogo, oggi,  con Antonello Casarella, maestro di Kung Fu.


Cos’è il Kung Fu?

Il Kung Fu è l’insieme delle tecniche marziali sviluppatesi in Cina da diversi secoli, per non dire millenni.
Letteralmente  il termine significa anche altro: duro lavoro o, ancor meglio, abilità.
L’espressione si compone, dunque, di due termini e indica l’abilità che si acquisisce dopo un lungo lavoro.
Quindi, non solo un arte marziale ma altresì un’abilità generale.
Un grande chef, un grande artista, un ingegnere e un premio Nobel possono essere Kung Fu.
Trasportato alle arti marziali, Kung Fu denota tutti coloro che attraverso l’allenamento di particolari tecniche tipo  lotta, pugilato o uso delle armi raggiunge un livello di abilità al di sopra del normale.
Detto questo va aggiunto che dietro a tutto ciò vi è una ricerca di perfezione, di trascendenza delle normali condizioni dell’uomo.


Perché ha scelto di praticare questa disciplina e cosa l’ha spinta ad insegnarla?

Da piccolo vivevo in quartiere difficile, non era un quartiere molto borghese… insomma, era un quartiere popolare in cui c’era sempre il pericolo di venire alle mani.
Ero diviso a metà: la voglia di combattere e la paura  delle conseguenze per la mia famiglia.
Ad un certo punto ho avuto un’esperienza relativamente breve di pugilato alle scuole elementari, poi alla fine delle scuole medie con l’arrivo dei film di Hong Kong sul Kung Fu mi sono appassionato a questa disciplina.
La trama era sempre la solita: la persona sola che si batteva per la giustizia e io mi identificavo molto in questi film.
Ho iniziato con il Judo e il Jujutsu al liceo, ma sempre sognando di imparare il Kung Fu di cui leggevo ogni cosa.
Già all’epoca mi ero innamorato della filosofia di questa disciplina ed ero fan di Bruce Lee che dopo il 73’ era diventato un mito.
Durante l’università ho cominciato la pratica seria del Kung Fu e il mio maestro di allora, il maestro Shin Dae Woung mi chiese di aprire un corso a Parma, dove studiavo, e poi a Reggio Emilia; da allora ho sempre insegnato, prima per passione poi, alla fine, è diventata la mia professione.
Eccolo, il mio percorso.
Insegno perché mi piace, perché credo che sia una disciplina che può aiutare a ritrovare se stessi.


In questo campo non parliamo di sport, ma di disciplina. Cosa significa disciplina? Perché il Kung Fu è una disciplina?


Qui la riflessione andrebbe fatta tra quanto, oggi, intendiamo per sport e la disciplina.
Lo sport richiede, sicuramente, una disciplina.
Ad esempio il tennista non può diventare bravo se non si allena in maniera disciplinata e non adotta delle regole anche nella vita normale come andare a letto presto, mangiare in maniera sana etc..
Quelle che noi intendiamo come discipline in realtà altro non sono che la ricerca di equilibrio, di una via.
Vede, in tutte le discipline orientali, cinesi o giapponesi, c’è sempre la parola “Via” che in cinese è tradotta “Tao” e in giapponese “Do”.
In Giappone abbiamo il Karate Do, il Judo che vogliono dire la via del Karate e la via del judo.
Percorrere una via, un percorso, noi, in occidente diremmo percorrere un percorso di vita.
Ad esempio, per diventare una brava giornalista deve fare un percorso di formazione, di esperienza, deve cercare di affinare le sue competenze attraverso l’esercizio della professione. Questo, ovviamente, richiede disciplina… disciplina, una parola usata da diverse culture e che nel Kung Fu vuol dire ritrovare attraverso gli allenamenti il senso di se stessi.

Quanto mi sta dicendo anticipa la domanda successiva: qual è la filosofia che sta alla base del Kung Fu?


Esatto. La punta dell’iceberg  è rappresentata dalle tecniche che dobbiamo eseguire, l’uso delle armi e il combattimento, al di sotto del quale ci sono tutta una serie di valori che vanno praticati, capiti e che reggono tutto il resto.
Per esempio essere non violenti, eroici, avere il controllo di se stessi.
Questo arriva dall’antica tradizione. Il guerriero, la persona che secoli fa poteva essere violenta, in contemporanea doveva sapersi contenere e comprendere il valore della vita umana.
Insomma, diventare cattivi e costruirsi un cattivo Karma era semplice.

Vi è, inoltre, un forte legame con la spiritualità

Sì, ma quando parliamo di spiritualità, qui non intendiamo la spiritualità astratta come la religione cattolica, a volte, sembra indicare.
Nelle discipline cinesi lo spirito è molto legato al corpo, alla corporeità è, quindi, una spiritualità molto concreta.
Mentre nella nostra cultura appaiono elementi contrapposti tra loro, nelle filosofie orientali sono molto vicini.
Io non posso essere spirituale, avere uno spirito elevato se sto male fisicamente, sono debole o non curo il corpo.
Questo è il primo dato.
Nel Kung Fu prima di giungere allo spirito devo porre solide basi che sono un corpo in salute e un corpo forte che mi permetta di sviluppare una parte spirituale importante.
Si procede, quindi, dal basso verso l’alto.
Io per poter sviluppare in modo sano la mia parte spirituale devo stare nel corpo.
Tutti gli esercizi sono fatti per sentire il mio corpo, conoscere il mio corpo, entrarvi in sintonia e permettere, piano piano, alla mia parte spirituale di nutrire il corpo che, a sua volta, nutrirà la parte spirituale di me stesso.


Cosa accade se non sono stabile nel corpo?

Se non sono stabile nel mio corpo, nelle mie gambe,  non posso avere una spiritualità stabile.
Tutto ciò che avviene nel corpo si riflette nel nostro carattere, nella parte mentale e in quella spirituale.
Abbiamo tutti un’eccessiva attenzione a come il corpo appare, questo è per noi è il corpo.
Nelle discipline marziali, non è l’aspetto, non è come il corpo appare,  ma il corpo: io che sto bene, come cammino, cosa sento mentre sto in piedi, l’essere consapevoli.
Il Kung Fu è questo: un processo in cui io sono consapevole nel corpo. Quando ho questa consapevolezza io sto nel corpo e, di conseguenza, sono consapevole di me stesso.
Il Kung Fu, per come lo vedo io, è una pratica che permette di conoscere se stessi attraverso il corpo.

Si entra, quindi, anche in discorso di psicologia.

Sì, in particolare, il mio lavoro è molto influenzato dal fatto che mi sono formato come counselor a indirizzo bio-energetico per cui, questo tipo di formazione, ha cambiato il mio modo di insegnare l’arte marziale e di intenderla.
Comunque, sì, è presente anche la psicologia.
Molte pratiche marziali, se praticate correttamente, donano benefici alla personalità e al carattere.
Occorre però accettare di lavorare e fare gli esercizi.
Tutto quello che avviene nel corpo si riflette nella mente, nelle emozioni.

Dal punto di vista emotivo, quali benefici può dare?

L’arte marziale in origine era praticata da soldati e guardie del corpo, persone che dovevano essere pronte a difenderne altre e combattere contro avversari.
Dovevano avere non solo un corpo forte, ma anche essere bravi a controllare le emozioni, non bloccarsi o scappare di fronte al pericolo. La pratica del Kung Fu aiuta a controllare le risposte emotive.
e in generale lavora sull’autostima.

In che modo?

Quando, ad esempio, riesci a stare su una posizione e eseguire un movimento che fino a poco tempo prima sembrava impossibile da eseguire, sorge un senso di soddisfazione e potenza.
La percezione che io posso controllare il mio corpo è una sensazione positiva che si riflette in modo positivo su tutta la personalità.
Proviamo a pensare quando da bambini abbiamo mosso i primi passi, quando ci siamo arrampicati su una sedia per la prima volta, … questa è la sensazione di cui parlo.
Abbiamo sempre queste sfide che da adulti scordiamo.
Se riesco ad avere potere sul mio equilibrio, sulla mia stabilità mi sento più sicuro e la mia parte emotiva ne beneficia: sono sicuro quando mi relaziono con altri, quando attraverso la strada.

Tecnicamente, in cosa consiste il Qi? Parola spesso utilizzata ma…

In cinese Qi vuol dire energia.  Su questa parola nella tradizione si sono sovrapposti tanti significati e annotazioni.Nella sua complessità però il senso è molto semplice:  secondo la fisica tutto è energia che si trasforma e, conseguentemente, si può manifestare come energia elettrica, termica, radiante e così via… quindi, abbiamo l’elettricità, il calore e il movimento che sono forme di energia.
La stessa cosa dice il pensiero cinese: Il Qi è tutto ciò che si muove nell’universo è la forza che lo muove.
Come muove l’universo muove anche l’uomo. Quindi, finché abbiamo Qi, finché abbiamo energia ci muoviamo, quando finisce moriamo.
La cultura cinese ha sviluppato molte tecniche di ginnastica, di meditazione e di respirazione che agiscono sulla nostra energia vitale, sull’energia interna.
Il Qi Gong, che vuol dire esercizio dell’energia,  è l’insieme delle tecniche e dei metodi per influire sul nostro stato energetico, attraverso la postura, il movimento, la respirazione e determinati esercizi mentali.
Ci sono esercizi che posso fare al risveglio, esercizi che la sera mi aiutano a dormire e riposare meglio o esercizi che mi permettono di modulare pressione arteriosa o influire sul battito cardiaco, accelerarlo o rallentarlo.


Ci troviamo in una fase nel quale è fortemente evidente il disagio giovanile che si manifesta anche in forma di bullismo.  In che modo questa pratica può aiutare a contrastare questo fenomeno? Può essere uno strumento educativo?

Sicuramente, trovo che le discipline marziali e anche gli sport da combattimento possono aiutare molto i giovani a capire cos’è il bullismo. Spesso, infatti, molto spesso il bullo è vittima di se stesso.

Era proprio il punto a cui volevo arrivare.

Si dice di andare a fare arti marziali in quanto difesa personale, così ci si difende dai bulli… va bene, però è importante anche che il bullo abbia un’educazione marziale per capire che offendere è sbagliato, così avrebbe degli strumenti.
Noi in genere vediamo gli altri come avversari, cioè l’altro è un potenziale avversario, nemico.
Nelle arti marziali se praticate in modo superficiale il focus è esterno: mi devo preparare perché fuori posso trovare una persona cattiva che mi aggredisce.
In realtà l’arte marziale serve a disciplinare se stessi, noi lavoriamo sui nemici interiori.
Nel bullismo c’è il bullo e la vittima ed entrambi devono lavorare prima di tutto su se stessi e capire se stessi.
C’è una frase di Lao Tsé che recita: “Se conquisti l’avversario sei forte, se conquisti te stesso sei potente“.
Tale punto distingue le arti marziali dagli sport competitivi dove, invece, l’obiettivo primario è sconfiggere l’avversario.

Per concludere le chiedo: c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?


Ci sarebbero tante cose, la cultura che sta dietro, in particolare, al Kung Fu è molto vasta e va dalla filosofia, la psicologia, la spiritualità e la strategia.
Sì, è un campo di conoscenza molto ampio.
Il Kung Fu è cultura e i mass media, il più delle volte, tendono a mostrarne gli aspetti meno nobili. Ciò che fa più rumore non è detto sia la cosa migliore.
Invito i lettori ad approfondirne la conoscenza attraverso libri e canali,  oppure visitando il mio sito bestwushin.it

Mara Cozzoli

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