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“Uno, nessuno, centomila”. Venceslao Mascia

| Maria Marchese |

Ulisse approda, finalmente, nella propria Itaca: ivi, viene deposto, da istanti immemori, tra le rocciose palme e i flutti, che amano quella terra.

Allo stesso modo, Venceslao Mascia “declama il primo vagito” , nella sua cara Sardegna… afferma, indi, la propria presenza, con quel grido impetuoso e spontaneo, reclamando attenzioni e nutrimento. Invero, le palme dello zio Nuccio Bua, artista,

intuiscono, sin da subito, che il fanciullino alligna il proprio spirito in un suolo alternativo, diacronico, e temporalmente e spazialmente; provvede, così, a pascerlo di poesia e arte. Crescendo, i lacrimosi e necessari  pianti esprimono, unicamente, quesiti inusuali e, mentre il suo sandalo conosce una terra pressoché incontaminata, a tergere quelle lacrime sono riflessioni profonde, che saziano quella fame atavica.

Tra rocciose identità, sabbiose trame, verdi luchi, cilestrini e infiniti nastri di cielo, marossi e quieti umori delle acque, l’edenica Itaca battezza quell’ erratico pugno, odoroso di ulissismo, come “neo nato” Adamo. Per sopravvivere, egli ricerca il proprio “pane quotidiano” ; s’innamora, dapprima, dell’ossidiana, nera e complessa venere. Venceslao Mascia la corteggia, con ferma delicatezza: la conosce come donna generosa, ma esigente, pronta, alla prima incertezza, a frangere ogni frutto di quel sottile rapporto. Poi, l’artista sugge altri frugali nettari: rame, creta, marmo, corallo… invero, cerca, incessantemente, nella viva materia, di trovare la propria Penelope/Eva.

La ricerca dell’autore è una salvifica sofferenza: il suo ciglio goccia acquei versi, che dilavano la concretezza e, nel contempo, ne riempiono le forme, che appaiono, all’uomo, come sensuali e seducenti morbidezze plastiche.

“Uno, nessuno, centomila” è una muliebre dea, le cui steli sono lunghe e longilinee; la loro oscura perfezione mette in risalto un fertile e terragno busto, in pregiato travertino, ove pieni e fermi seni esplodono, lumeggiati da un inusuale e solare ocra, fascinando e avvincendo, in una malía, l’animo dell’individuo.

Una goccia, “rubata”, da Venceslao Mascia, al pozzo sacro nuragico di Olbia, fregia, come un monile, le carni, e “instaura” l’impalpabile distanza, che la rende privilegio per pochi.

L’ovale è, in realtà, uno specchio: qui, Adamo diviene un connubio simbiotico, con questa femmina e mater steatopigia, e, medesimamente, quel vero assolo si frange e flette, poi, in molteplici sfumature, di un pentagramma esistenziale apolide.

 Tra i suoi righi, prende corpo l’annichilimento totale come l’eteroglossia della personalità.

“Dio è morto” è una delle inflessioni di questo inedito temperamento. Venceslao Mascia “ruba” l’affermazione del filosofo Nietzsche e la “indossa” , metaforicamente, per 3 giorni… dopodiché, resuscita.

L’artista sardo celebra, nelle proprie opere, la sacralità della vita: come in un rosario, sgrana ogni perla, che è re-ligo e ode al Creatore, al creato e alle creature.

“Dio è morto” è anche il titolo della mostra personale di Venceslao Mascia, inaugurata il 29 luglio 2022, presso lo spazio adiacente alla Chiesa dedicata a S. Pantaleo, in Piazza della Chiesa n’10, a S. Pantaleo (OT)
La parte curatoriale della mostra è stata seguita dalla poetessa e curatrice comasca Maria Marchese. Media partners dell’evento sono: Oubliette Magazine, Ottiche Parallele Magazine e ilrapinososcrivere.blogspot.com. L’evento è, inoltre, sostenuto e affiancato dal progetto Cult&Culture, dalla residenza di lusso estiva Marchese Houses e dall’associazione culturale Art’s Wings Forum, dell’artista, critica d’arte e autrice marocchina Khira Jalil.

Maria Marchese

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