sabato, Luglio 27, 2024
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Terapia Elettroconvulsionante. Intervista a Alberto Brugnettini, Vicepresidente CCDU.

Nel 2021 siamo indotti a credere che la Terapia Elettroconvulsionante,  meglio nota come elettroshock, non sia più attuata. I fatti raccontano il contrario.
Per meglio comprendere questa pratica a mio avviso disumana, ma fonte di controversie  e accesi dibattuti tra i tecnici, dialogo con Alberto Brugnettini, Vice Presidente CCDU, Comitato dei Cittadini Per I Diritti Umani.

Come prima domanda le chiedo di spiegarci In cosa consiste la terapia elettroconvulsivante o elettroshock.

Terapia elettroconvulsivante è l’eufemismo edulcorato e utilizzato per addolcire il nome di elettroshock che, anche inseguito al film “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, si fece una cattiva reputazione. Si sentì quindi il bisogno di far credere che fosse qualcosa di differente.
Rispetto a quanto si vede nel film due punti hanno subito modifiche, i quali però risultano secondari.
L’elettroshock  ora è fatto sotto anestesia ed è preceduto dall’iniezione di un farmaco che rilassa i muscoli  allo scopo di impedire eccessive convulsioni che in passato provocarono la rottura di spina dorsale o ossa importanti.
Le convulsioni  scatenate sono forti e, paradossalmente,  è proprio l’effetto cercato.
Nessuno però, neanche gli psichiatri o gli “elettricisti” più convinti hanno mai avanzato una spiegazione scientifica per cui la convulsione debba curare qualcosa.
Vi è questa idea che, se un corpo è soggetto a convulsione, quest’ultima abbia effetto terapeutico
Quindi, la convulsione è ricercata ma allo stesso tempo è estremamente pericolosa.
Viene inoltre iniettato un farmaco miorilassante e, infine legato un laccio emostatico nei pressi della caviglia per impedire che il farmaco giunga al piede, così che è possibile vedere il manifestarsi della convulsione. A parte queste due differenze, la pratica non è cambiata per niente.

Come avviene?

Si applicano elettrodi in specifici punti della testa e quattrocentosessanta Volt a quasi un ampere vengono sparati nel cervello di una persona.
Una quantità di energia enorme, quantità che corrisponde a un peso di 2 kg che cade da 20 piani.
Cioè, un peso di 2 kg che da venti piani cade sul cranio di un soggetto produce la stessa energia di una seduta di elettroshock.
Come già detto la procedura è somministrata in anestesia generale  previa iniezione di un farmaco miorilassante.
Stando ad alcuni psichiatri questa nuova TEC sarebbe più sicura, in realtà questa conclusione è discutibile:
Il voltaggio usato oggi è lo stesso di quello che si usava senza anestetico, L’uso di anestetico e miorilassante danno solo un’apparenza di bontà, mentre aggiungono, alle controindicazioni proprie della TEC, quelle dei farmaci: il miorilassante più usato è la succinilcolina i cui effetti collaterali includono arresto cardiaco, paralisi prolungata dei muscoli respiratori e reazioni allergiche potenzialmente pericolose o letali.

Quali sono gli effetti?

Tra gli effetti, perdita di memoria, stato confusionale, perdita dell’orientamento, complicazioni cardiovascolari o respiratorie.
Per anni gli psichiatri hanno cercato di minimizzare questi effetti collaterali, recentemente tutto è stato messo in discussione.
In una nota dell’associazione psichiatrica americana addirittura viene affermato che “In alcuni pazienti il recupero della memoria sarà incompleto. Vi sono inoltre prove che la terapia elettroconvulsivante può comportare una perdita di memoria permanente o persistente”.
Una nota del Governo della Nuova Zelanda dice che la terapia elettroconvulsivante può danneggiare in maniera permanente la memoria: a volte questo assume una particolare rilevanza per la persona, fino a divenire handicap grave.
Oltre a questi effetti notevoli possono sorgere anche danni celebrali.
Uno studio recente che è stato anche pubblicato di un ricercatore di Harward , Ivan Kirsch, direttore degli studi statistici in medicina e docente di medicina, il quale ha rivisto decine e decine di studi fatti sull’elettroshock e ha rianalizzato i dati per trarne sue conclusioni, ha stabilito che  “Non c’è nessuna prova che l’elettroshock serva a qualcosa”.
Non vi è evidenza scientifica sull’utilità dell’elettroshock rispetto al placebo.
Per contro, i danni sono noti  e documentati mentre gli effetti positivi non sono dimostrati.
Durante sedute di elettroshock in alcuni casi si è avuto il decesso del paziente.
Uno studio pubblicato nel 1986, in cui si chiedeva ai pazienti di valutare la loro memoria dopo 6-18 mesi dalla TEC, rivelò “menomazione della memoria”  come problema continuativo per il 74% dei pazienti, mentre il 30% di loro riferì che la loro memoria “non ritornò mai come era prima” .
Nel 2007 uno studio di follow-up a lungo termine di pazienti che hanno subito la TEC, condotto da un team di sostenitori dell’elettroshock guidato da Harold Sackeim, ha confermato le osservazioni del Dr. Breggin: il “trattamento” è devastante per le funzioni mentali, causa spesso demenza con interruzione permanente della memoria e una varietà di altre funzioni cognitive.

Quanto dura una seduta?

Pochi minuti, a volte anche uno. Vengono aumentate gradualmente  corrente e voltaggio fino a produrne la convulsione.

In Italia è regolato dalla Circolare del ministero della salute, la così detta “Circolare Bindi”: vuole spiegarci il contenuto? Su quali soggetti viene applicata la TEC?

Secondo la Circolare del Ministero della Sanità che ne disciplina la pratica e datata 15 febbraio 1999  la Tec in Italia:  “È considerata ancora oggi un’opzione terapeutica che va, tuttavia, riservata a pazienti affetti da episodio depressivo grave con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio (classificazione ICD10), quando non possono attuarsi terapie farmacologiche, ovvero nei casi di vera e accertata farmacoresistenza…
In sintesi, può essere utilizzata quando la depressione è maggiore e non risponde al trattamento farmacologico; solo se queste due condizioni sono accertate la TEC è conforme alla circolare.
Il discorso è che l’elettroshock ha un effetto su chi lo subisce di annientamento della memoria a breve termine che dura almeno qualche giorno, di conseguenza per qualche giorno la persona non si ricorda per quale motivo era triste, ma non vi è nessun riscontro che passato un determinato lasso di tempo dal trattamento, quest’ultimo continui a produrre effetti positivi.
Tant’è che nel momento in cui la persona ricorda il motivo del suo stato d’animo, ritorna nella stessa identica situazione.
Viene ritenuto strumento per prevenire i suicidi.
La circolare inoltre riconosce i rischi a cui va incontro un paziente, che in questo momento non c’è accordo sul motivo per cui deve fare bene e su come funzioni.
In merito alla funzionalità ammette che non ci sono prove certe e ne raccomanda l’uso in casi estremi.
La maggior parte degli psichiatri si oppone all’elettroshock, la maggior parte degli psicologi anche e la maggior parte dei medici non capiscono perché gli psichiatri  lo pratichino, eppure si conviene che debba essere fatto.
In Italia è eseguito da pochi. Gli “elettricisti” che noi conosciamo sono a Pisa, Montichiari, Bolzano, Milano e qualcuno in Sicilia
Noi ne chiediamo la messa al bando.


Chi ne dispone la pratica? Il paziente può sottrarvisi?

Lo psichiatra, ma solo con il consenso informato del paziente.
Nel nostro Paese deve essere eseguita su pazienti “volontari”: non ci risulta venga applicato per via coatta. All’estero invece,  in alcuni Paesi, viene fatta anche su pazienti “involontari”.
Essendo richiesto il consenso, il paziente può sottrarvisi.
Non abbiamo evidenza di uso in regime  TSO, cioè con la forza

A questo punto, chiariamo il significato dell’espressione “Consenso Informato”.

L’accento cade sull’aggettivo” informato” e non sul sostantivo “consenso”.
Il documento che il soggetto firma deve riportare in maniera realistica il bilancio tra benefici e danni potenziali, occorre che dia una reale informazione sui danni celebrali, sui rischi di morte e di perdita della memoria.
Se questi punti non vengono spiegati in modo chiaro, ma vengono minimizzati, allora non siamo in presenza di consenso informato ma di un consenso disinformato.

In quanti Paesi è ancora in uso?

È praticato in quasi tutti i Paesi occidentali, in America addirittura in forma coercitiva.
Sempre in America è praticato spesso in quanto rimborsato bene dalle assicurazioni, ma nei paesi in cui non è pagato è molto meno in uso.
Anche se non vi sono dati certi è utilizzato in Paesi in cui vigono dittature politiche, in quanto utilizzato anche come strumento punitivo e di tortura.

Se non esiste alcun riscontro scientifico circa gli effetti positivi, ma si parla solo di gravi conseguenze, come mai non è stata ancora abolito?

È quello che ci domandiamo anche noi. Non si riesce a capire. In Italia i centri che lo praticano sono pochi, erano stati censiti anni fa nel corso di un’inchiesta del Senato sul mondo della sanità, con Marino a capo della Commissione D’inchiesta. In quell’occasione si contarono una decina di centri che lo praticavano, ma poi la realtà fu ben altra:  errori di trascrizione, cioè nella compilazione del modulo, portarono ad accertarne ancora meno di dieci.
Ad oggi sono cinque o sei e, a maggior ragione, occorrerebbe abolirlo.
Un numero esiguo ha un unico significato: la stragrande maggioranza degli ospedali italiani non crede in questa terapia.

Annualmente, in Italia quanti pazienti sono sottoposti a TEC?

È un dato che non abbiamo. Occorre controllare il rapporto annuale del ministero della sanità.

Vi è la possibilità che per quanto questa pratica sia ancora vigente, nella materialità nessuno la pratichi?

È praticata.
A Pisa sostenitore della scossa elettrica era il Professor Cassano ora in pensione, ma chi lo ha sostituito continua ad attuarla.
In Italia molta gente crede che l’elettroshock sia bandito, nella concretezza non è così,  ed è appunto regolato dalla circolare Bindi.

In conclusione ringrazio Alberto Brugnettini per il tempo concessomi.

Per approfondimenti
https://www.ccdu.org/comunicati/tec-causa-etc
https://www.ccdu.org/tec/fatti-elettroshock

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