sabato, Luglio 27, 2024
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Solitudine. Il ritorno a se stessi.

“La conversazione arricchisce l’intelletto ma è la solitudine la scuola del genio, e la coerenza interna di un’opera denota la mano di un unico artista”. Edward Gibbon

Da cosa deriva la felicità? È il risultato della vita sociale condotta e della capacità di intrecciare relazioni con altri?
Per quale ragione individui dotati di creatività manifestano il desiderio di isolarsi senza provare alcuna forma di disagio?
Quanto varie scuole di psicoanalisi insegnano è che l’uomo, essere socievole, necessita della compagnia e dell’affetto dei suoi simili, di conseguenza diviene opinione comune che fondamentale fonte di felicità è data da relazioni interpersonali.
Il percorso di individui creativi contraddice però tale tesi; basti pensare a Descartes, Newton, Pascal, Kant, Schopenauer, Nietzsche, Kierkegaard e Wiittgenstein i quali, nel corso dell’esistenza, instaurarono relazioni transitorie con uomini o donne. Newton scelse il celibato, nessuno di loro si sposò e tutti o quasi passarono in solitudine gran parte della vita.
Queste personalità preferirono a relazioni umane i loro specifici interessi a causa di circostanze che gli impedirono di stringere rapporti profondi. Alcuni grandi pensatori furono narcisisti, egocentrici, concentrati sui meccanismi in atto nel loro intimo.

Caratteristica del creativo è scoprire se stesso, plasmare il proprio essere singolare, dare un senso al macrocosmo per mezzo di quanto realizza.
Il talento è un dono concesso a pochi, ciò non toglie che colui che lo riceve è un essere umano, con gli stessi bisogni e desideri di tutti.
A raccontarne pensieri e sentimenti le opere donate ai posteri.
“Forse” scrive Anthony Storr, scrittore e psichiatra inglese: ” Il bisogno di solitudine dell’individuo creativo e della priorità, per lui dei processi interiori d’integrazione possono rivelare qualcosa dei bisogni delle persone meno dotate, degli esseri umani più normali che finora, nel momento in cui scrivo, sono stati trascurati”.
Sicuramente la psicoanalisi è uno strumento di salvezza, permette di rimuovere blocchi emotivi che impediscono di stringere rapporti soddisfacenti, una scienza che nel corso del tempo ha subito notevoli cambiamenti, uno dei quali è dato dalla rilevanza conferita al rapporto paziente-analista, parliamo dunque di transfert, ovvero della risposta emotiva del paziente e dell’atteggiamento nei riguardi dell’analista.
Alle origini venne data importanza tanto al transfert quanto al processo di sviluppo psicosessuale del paziente a partire dall’infanzia.
Secondo Freud, vari tipi di nevrosi scaturiscono dalla mancata evoluzione al di là degli stadi infantili, cioè “orale”, “anale” e “fallico”, che impedisce di giungere alla fase “genitale”, ossia alla maturazione sessuale: il concetto di salute psicologica è così vincolato alla soddisfazione sessuale.
Compito dello psicoanalista è riportare a galla quel trauma causa di dolore attraverso un processo di ricostruzione storica.
Occorre però ricordare che nel periodo in cui visse Freud, il sesso fu considerato un parametro secondo cui valutare un rapporto nella sua interezza.

Cosa accade a soggetti creativi?
Le persone creative sono in grado di utilizzare il proprio talento per stabilire una sorta di equilibrio con il dolore e darvi un senso.
L’atto creativo permette loro di trovare un modo per superare la paralisi che li affligge: eccolo dunque, uno strumento di adattamento, un modo per esprimere emozioni.
Si calcola che l’immaginazione è molto fervida nell’infanzia, rappresenta un valore aggiunto per tutti i bambini che passano gran parte del loro tempo in solitudine che non hanno amici con cui giocare o  trovano difficoltà nel fare amicizia.
La maggior parte delle persone che da adulte si dedicano ad attività nelle quali, ruolo predominante è svolto dalla fantasia hanno iniziato a farlo durante l’infanzia a causa di circostanze (lutto o separazione dalle figure genitoriali) che li hanno spinti in questa direzione; carenze di diverso tipo rendono difficoltosa la realizzazione di legami sentimentali duraturi. In questo caso, ideare mondi fantastici può salvaguardare dall’infelicità, porre rimedio a perdite e costruire le basi di un più importante sviluppo creativo.
Basti pensare a Antony Trollope o Beatrix Potter, che potenziano la loro immaginazione in seguito all’isolamento vissuto in tenera età.
Nell’autobiografia del primo si legge l’infelicità provata durante i giorni di scuola: grosso, brutto, con mezzi di sostentamento limitati che lo resero privo di amici e disprezzato.
Raccontò che le fantasie, create a titolo compensativo, riempirono sette anni della sua vita, e lo portarono a divenire scrittore.
Stesso discorso per Beatrix Potter, il cui periodo produttivo durò dieci anni,  ovvero quando visse in completa solitudine prima del matrimonio.

Prendiamo in esame Kant, quarto di nove figli, tre dei quali morirono da bambini. A tredici anni perse la madre a ventidue il padre.
Questi accadimenti ebbero ripercussioni: più volte pensò al matrimonio, ma lo evitò, per quanto si preoccupò del parentado vide bene di tenersene alla larga, dopo due anni e mezzo rispose a una lettera del fratello, ammettendo di essere troppo occupato a scrivere ma che egli sarebbe rimasto sempre nei suoi pensieri.
Ebbe una personalità con tratti ossessivi, i quali si evinsero nell’impazienza e nell’intolleranza.
Timoroso della morte, visse una vita ascetica.
Kant morì due mesi dopo il compimento del suo ottantesimo compleanno.
Benché la sua vita fosse priva di passione e calore umano fu rispettato e considerato con devozione dagli amici.
Grazie alla fama conquistata i suoi furono funerali pubblici mai visti.
Newton, genio introverso, evitò i rapporti personali, fu diligente negli studi, della propria indipendenza e utilizzò il lavoro come sorgente inesauribile di autostima.
Soffrì di evidenti disturbi psichici.
Cosa emerge da queste storie?
I percorsi di queste grandi menti, insegnano, che forse, il benessere consiste anche nel saper vivere soli, senza dover cercare nell’altruità la realizzazione di sé.

Fonte bibliografica: Anthony Storr, Solitudine. Il ritorno a se stessi.
Immagine in evidenza: Davide Friolo, redattore gruppo ” I Belottiani”

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