venerdì, Marzo 29, 2024
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Infanzia e disabilità. Intervista a Antonia Noja, direttrice Fondazione Together to go Onlus.

Ad oggi, nel mondo occidentale tre bambini su mille soffrono di paralisi cerebrali infantili, cinque  accusano patologie genetiche con grave ritardo mentale. Sono bambini per i quali anche le più semplici attività della vita quotidiana come apprendimento, comunicazione e interazione sociale risultano difficoltose. Fondazione Together to go Onlus, crea nel 2011 un centro d’eccellenza,  il cui scopo è prendersi cura non solo di piccoli pazienti affetti da malattie neurologiche complesse, ma anche del supporto ai familiari, attraverso l’intervento di terapisti qualificati e percorsi personalizzati di riabilitazione neuro cognitiva.
A spiegarmi  l’attività di Fondazione Tog, situazione vissuta dai pazienti e relativi percorsi riabilitativi, Antonia Noja, direttrice della struttura.

Buongiorno Dottoressa Noja, come prima domanda le chiedo illustrarmi le attività di Fondazione Tog.

Fondazione Tog è una Onlus che, nel 2011,  ha creato un centro d’ eccellenza sanitario per la riabilitazione di bambini e ragazzi fino ai diciotto anni con lesioni neurologiche complesse, quindi patologie piuttosto serie e gravi del sistema nervoso centrale,  patologie che, colpendo il cervello, colpiscono tantissime abilità dell’essere umano: abilità di movimento, comprensione cognitiva e comunicazione.
Si tratta di paralisi cerebrali infantili o malattie genetiche rare in cui vi è una compromissione del sistema nervoso centrale.
Ci occupiamo della componente riabilitativa e non diagnostica, la quale è eseguita da grosse strutture ospedaliere o centri neurologici di Milano e Provincia.
Questi bambini se non riabilitati, non hanno possibilità di miglioramento, in quanto quest’ultimo è legato alla riabilitazione: non esiste una cura farmacologica ma una pratica riabilitativa che deve occuparsi di tutti i distretti colpiti: motori, molti bambini non raggiungono la deambulazione autonoma, altri hanno ritardi cognitivi (mentali) e spesso comunicativi.
In questa situazione non riescono a utilizzare il linguaggio dal punto di vista cognitivo, o magari hanno residui d’intelligenza notevole, ma non riescono ad organizzare l’articolazione del linguaggio, sono di fatto bambini senza comunicazione.
La particolarità è che, al momento, ne curiamo centoquattordici , in regime di totale gratuità: le terapie che eroghiamo non vengono fatte pagare alle famiglie.
Come fondazione ci reggiamo sulla ricerca fondi e sosteniamo la sanità pubblica che è in grande difficoltà nell’organizzare e offrire a questi soggetti una riabilitazione articolata, sia dal punto di vista della quantità di terapia necessaria, che della qualità riabilitativa.
Ci configuriamo  quindi come struttura privata che aiuta la sanità pubblica.

Di quale tipologia di personale vi avvalete?

Abbiamo del personale amministrativo. Per quanto riguarda il personale medico/riabilitativo asserisce alla neuro psichiatria infantile: medici, neuropsichiatri infantili,  fisiatri e ortopedici infantili,  fisioterapisti, logopedisti, terapisti che si occupano della parte neuro cognitiva e psicologi.
Tutti hanno una specializzazione molto alta, precisa e specifica. Sono infine legati a un contratto che è quello della sanità privata.

Entrerebbe nello specifico delle difficoltà che questi bambini incontrano nella quotidianità?

Le difficoltà, come le dicevo, essendo una lesione del cervello, sono molto variabili. Quasi sempre sussiste una grossa difficoltà dal punto di vista motorio, che può andare da nessun tipo di movimento, lesioni quindi che riguardano tanto gli arti superiori quanto quelli inferiori: vi sono bambini che non raggiungeranno mai la deambulazione e utilizzeranno una sedia a rotelle, bambini che la raggiungeranno, ma assistiti con girello o strumenti per poter deambulare.
Altri hanno ritardi cognitivi,  cioè di apprendimento, che possono essere molto profondi e non raggiungere un quoziente intellettivo non dico nella norma, ma neanche vicino alla norma.
Accanto a questi, vi possono essere problemi di comunicazione dovuti al fatto che il loro cervello non è in grado di elaborare quella che è la funzione superiore del linguaggio. Il linguaggio è il pensiero del linguaggio. Ad esempio, possiamo non dire una parola ma pensarla, ci sono bambini che non hanno né questa possibilità, né la possibilità di articolarla. Altri bambini hanno un linguaggio interno, cioè pensano ma l’organizzazione motoria della zona della bocca, della lingua, non permette di tirarla fuori, manca quindi lo speech, cioè l’uscita della parola in senso tecnico. La lingua inglese definisce molto bene la distinzione tra il language cioè il pensiero del linguaggio e l’uscita della parola, appunto lo speech. Tra i nostri pazienti in genere la lesione è complessa, per cui tutte queste tre sfere, fondamentali per la vita umana sono compromesse, con livelli maggiori o minori. Mediamente ci sono livelli alti di compromissione, quindi sono bambini che hanno una gravità di complessità neurologica molto alta.


Come intervenite?

Interveniamo tempestivamente, le segnalazioni ci arrivano dal Mangiagalli, dall’ Istituto Besta, e da tutti quei grandi istituti di diagnosi che si accorgono fin da subito della nascita di un bambino con problematiche.
Interveniamo su più settori e l’intensità della riabilitazione dipende dalla lesione.
Il cervello, quando infantile, ha ancora delle grandi potenzialità. In caso di lesione, queste zone sono immature, cellule che si possono sviluppare ma sono incapaci di farlo senza un impulso. Ecco, noi lavoriamo su questo, su questa potenzialità celata del cervello leso che deve essere tirata fuori dalla riabilitazione.
Quindi, l’attacco che si fa è generale, globale e molto personalizzato. Legato alle caratteristiche che noi individuiamo nel bambino e che deve essere adeguato dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Uno dei problemi, purtroppo, della sanità pubblica è che, tali livelli di complessità, richiedono interventi molto costosi (coinvolgono numerose terapie), tempestivi, massicci e prolungati nel tempo. Tutto ciò ha un costo notevole, per cui molte strutture pubbliche sono in difficoltà, non riescono a offrire a ciascun bambino tutto ciò di cui ha bisogno. Certo, noi non salviamo il mondo, curiamo quanto possiamo e cerchiamo di essere adeguati, dare tutto il necessario.
Possono necessitare di un intensivo, quindi ogni giorno sedute di fisioterapia, tre volte alla settimana sedute di logopedia, tre volte la settimana sedute di recupero neuro cognitivo. Si crea quindi un profilo riabilitativo personalizzato in cui via, via, si capiscono le necessità del bambino e si offre ciò di cui ha bisogno per il raggiungimento dei risultati.
Sono risultati, e questo va detto chiaramente,  che non guariscono, non portano il bambino alla normalità, ma lo conducono a esprimere al massimo le proprie potenzialità.

Come si può spiegare a un genitore quelli che sono i limiti, che possono essere superati, pur non giungendo alla perfezione, ma che comunque porteranno a un certo livello di indipendenza del bambino che poi diventerà adulto?

Questa è domanda importante: apre il varco alla questione che, per riuscire bene e arrivare a una riabilitazione che abbia successo, bisogna creare una forte alleanza con la famiglia e la scuola. In Italia abbiamo questa legge importante relativa all’inserimento nelle scuole pubbliche di bambini con disabilità che è un valore aggiunto enorme e, tra l’altro, siamo l’unico Paese al mondo ad averla .
La scuola va aiutata alla comprensione del deficit e delle modalità con cui si può lavorare.
Quindi, se si crea quest’alleanza, che è un’alleanza di speranza, la quale racconta la verità (noi diciamo sempre alle famiglie che non raggiungeremo la normalità) e dona la speranza che per il bambino si farà tutto il possibile.
Questa cosa, viene condivisa passaggio per passaggio con la famiglia, che a sua volta va molto seguita, perché la nascita di un bambino con lesioni cerebrali, all’interno di un nucleo familiare, è un lutto profondo. Nella letteratura scientifica è descritto come un lutto che, a volte, è maggiore della morte stessa, in quanto la fine di una vita può essere elaborata, un deficit così complesso non ha un’elaborazione temporale; sono bambini che sempre diventeranno ragazzi ma saranno riabilitati. Questo nelle mamme e nei papà, crea una ferita profondissima: Il compito di chi li riabilita, non è solo organizzarsi sul bambino, ma anche sostenere tutto il nucleo familiare, dai genitori ai fratelli, i quali non devono essere né colpevolizzati, né sovraccaricati di responsabilità. C’è quindi un grosso lavoro psicologico ed educativo da fare su famiglia, scuola e ovviamente sul bambino che rimane il centro dell’interesse del riabilitatore.

A questo punto le chiedo di spiegare l’importanza del supporto psicologico.

Il supporto psicologico è fondamentale, noi lo sviluppiamo attraverso il fatto che seguiamo il bambino e i colloqui che, spesso, teniamo con entrambi i genitori.
Tutta l’equipe si riunisce alla presenza dei genitori, spiegando il senso della riabilitazione: perché si procede con quel tipo di riabilitazione, per quale motivo si sceglie quel metodo, perché vi sono momenti  della vita del bambino in cui va rallentata e altri in cui va intensificata.
Il progetto riabilitativo è condiviso con la famiglia, si spiega che c’è un forte legame con scuola. Non ci poniamo nei confronti di quest’ultima come coloro che danno linee di comportamento, perché la scuola sa benissimo cosa deve fare, perché ha un obiettivo didattico.
Ciò che noi dobbiamo fare è spiegare alla scuola la natura profonda dell’handicap o del deficit.
Vi sono casi di bambini che vanno seguiti direttamente in psicoterapia, in questo caso, il bambino deve avere determinate caratteristiche, esiste anche un’altra grande arte, scienza che è la psicomotricità:  è come se usassimo, dal punto di vista della riabilitazione psicologica, non la parola che questi bambini non hanno, bensì il corpo. Vi sono bambini che non amano essere toccati o con cui non si riesce a condividere un linguaggio corporale adeguato, che devono fare un percorso che li avvicini al mondo e gli permetta di conoscere ed entrare nel mondo per mezzo delle sensazioni.
Abbiamo psicologi che portano avanti una terapia psicologica e fior di psicomotricisti che fanno l’aggancio corpo con il corpo, grosso aggancio che è anche di tipo comunicativo.
Abbiamo la musicoterapia, altra strategia importantissima.

Approfondirebbe, dunque, il discorso musicoterapia?

Non è il semplice uso della musica dal punto di vista ludico.  
Si tratta di specialisti la cui formazione psicomotricista, fa sì che possono utilizzare la musica come tramite comunicativo.
Vi sono molte teorie elaborate nel corso degli anni che utilizzano la musica come strumento di avvicinamento di un corpo con l’altro corpo.
Abbiamo un gruppo di persone che fanno musicoterapia in modo particolare, che sono abituati a trattare i bambini con neuro lesioni. I risultati, a volte,  sono veramente sorprendenti.
Bambini gravissimi che sembra non abbiano nessun momento di comunicazione, attraverso la musica, attraverso il terapeuta che la usa come tramite, iniziano a dare risposte.
Magari la risposta è solo un battito delle ciglia o un movimento della mano.
Sono piccole tracce su cui lavorando con costanza si costruisce un grande tessuto comunicativo.

Nel corso dell’emergenza sanitaria che ci ha colpito, quali difficoltà avete avuto?

Durante il lockdown abbiamo chiuso e, appena possibile, riaperto.
Il nostro protocollo di sicurezza è molto alto ed è stato presentato ai nostri referenti in Regione.
Come abbiamo potuto e siamo riusciti a lavorare?
I bambini con cui è possibile fare un lavoro a distanza li abbiamo seguiti e continuiamo a seguirli a distanza.
Dove non è possibile, tutto ha luogo in presenza.
Ovviamente abbiamo strutturato un contingentamento.
Se prima venivano accompagnati da due nonni e un fratello, ora ad accompagnare è una sola persona.
Attuiamo tutte le misure di sicurezza: distanziamento, mascherina, prova della febbre e controlli sanitari a tutti i livelli.
Durante la chiusura,  li abbiamo comunque seguiti tutti attraverso tutorial, piccoli video di esercizio  che mandavamo alle famiglie, chiedendo loro di riprodurli sul bambino, a loro volta, il padre e la madre,  facevano il video e  lo rimandavano, infine, noi lo correggevamo.
Questo tipo di lavoro è stato importante perché, per prima cosa, non ha fatto sentire le famiglie isolate. Avere la possibilità di lavorare sui loro figli attraverso la nostra guida li ha resi più sereni e partecipi; hanno inoltre compreso che i punti guadagnati dai bambini non sarebbero andati persi.
Eravamo quotidianamente in contatto con le scuole, che, sono state sempre collaborative. Tramite zoom abbiamo eseguito riunioni con gli insegnanti e ci siamo scambiati tutte le informazioni  che dovevano essere condivise.
Online siamo riusciti a seguire  i genitori, secondo come percepivamo la depressione o il senso di solitudine.
Insomma, non abbiamo abbandonato nessuno.


Ciò che emerge, è che, la disabilità comporta dei limiti, reali, i quali con il giusto supporto possono essere superati, giungendo all’espressione massima di quelle che sono le potenzialità.
In conclusione ringrazio Antonia Noja per il tempo concessomi.

 

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