venerdì, Aprile 19, 2024
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Il sostegno ai modelli parentali di riferimento evolutivo per problematiche neuropsichiatriche infantile

Un interessante testo a supporto degli interventi con la famiglia e la rete a sostegno del bambino con difficoltà neuropsicologiche.

Nei servizi di neuropsichiatria infantile frequentemente risulta difficile agganciare in modo sufficientemente adeguato le figure genitoriali per sensibilizzarle ad iniziare una terapia per il bambino e un supporto genitoriale relativo ai problemi della sfera educativa, cognitivi e relazionali. Spesso assistiamo a precoci abbandoni o ad una disponibilità formale che non riesce ad evolvere verso una più profonda e sentita partecipazione.
Le riflessioni sulle cause di questi insuccessi ci portano ad identificare alcuni fattori particolarmente significativi legati in parte alla modalità di approccio e di impostazione terapeutica, ma probabilmente non sufficienti a comprendere la pluralità delle dinamiche che giostrano nel “sistema bambino-ambiente”.
Per poter meglio avvicinarci a questo complesso sistema e accedere ad una chiave di lettura corretta, appare opportuno analizzare i fattori ambientali che entrano in gioco nel processo evolutivo del bambino, utili anche nel lavoro con i genitori
Il bambino nel processo evolutivo struttura la propria personalità in una continua interazione con i modelli parentali e sociali; lo sviluppo dei suoi comportamenti dipendono da un processo specie-specifico e da un habitus costituzionale biologico che interagisce dinamicamente con i condizionamenti ambientali in un continuo plasmarsi nelle varie fasi evolutive a seconda del tipo di esperienze vissute.
I modelli parentali, sostenuti a loro volta da un processo genetico specie-specifico e da un buon senso di realtà, si rapportano, a seconda dell’età del bambino e delle sue capacità, semplificando il linguaggio, stimolando le acquisizioni, adattando le regole, rinforzando i risultati e permettendo una autonomia proporzionale alle capacità acquisite. Conquistata e consolidata la propria identità, separata dall’altro, il bambino, procedendo nell’evoluzione, deve confrontarsi anche con i coetanei e con i modelli sociali (educatrici, insegnanti, altri adulti..); affronta in tal modo un primo vivere sociale esterno al proprio nucleo familiare: nuove regole, adattamento alla vita di gruppo, emergere delle figure leader, competitività, parziale rinuncia al proprio egocentrismo. I modelli sociali si affiancano a quelli parentali, ne allargano gli obiettivi, arricchiscono la complessità dei rapporti e stimolano il bambino a espandersi sempre più verso nuovi orizzonti.
Si assiste ad un continuo divenire di nuovi adattamenti tra la spinta biologica evolutiva del bambino e gli stimoli e le richieste ambientali in rapporto alle diverse esperienze e situazioni, sia nell’ambito familiare che sociale. Per un sano processo di sviluppo il bambino deve confrontarsi con i modelli parentali e sociali adeguati e non contrastanti tra loro, diversamente questo porterebbe che porterebbero ad aumentare le incertezze e la confusione rispetto agli obiettivi da perseguire, con la probabilità di determinare l’instaurarsi di problematiche relazionali.
Nella nostra società, con culture diverse e in continuo cambiamento, la presenza di modelli sociali non sempre comprensibili, a volte contradditori, possono disorientare il bambino e la sua famiglia.
Nella struttura familiare spesso avvengono sostanziali modifiche in rapporto all’attività lavorativa dei genitori, alle deleghe educative parziali o totali, stabili o instabili, alle separazioni dei genitori, alla formazione di nuovi nuclei familiari. In tali situazioni il bambino deve affrontare, sia nell’ambito familiare che sociale, un complesso e mutevole articolarsi di rapporti affettivi ed educativi, che incideranno sulla sua vita affettiva in divenire, sulla strutturazione della personalità e sul processo di autonomia.
* Neuropsichiatra Infantile e Psicoterapeuta. Direttore Scientifico del CSPPNI. russo@csppi.it , ** Neuropsichiatra
1 Tratto in parte da: R.C.Russo Il senso dell’azione in psicoterapia infantile, pp.151-160, 2007. Casa Editrice Ambrosiana, Milano,
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Infantile e Psicoterapeuta, *** Psicologa e Psicoterapeuta.
Anche il bambino e l’adolescente vissuti in un sano contesto familiare dovranno affrontare un difficile processo d’integrazione tra i propri modelli primari e i nuovi modelli sociali.
Se in situazioni di normalità il bambino deve affrontare complessi processi adattativi, in situazioni patologiche l’interazione dei modelli diventa decisamente problematica. In tali casi il comportamento specie-specifico e i modelli parentali e socio-educativi riescono a fatica ad adattarsi alle necessità evolutive del bambino, molto spesso risultano inadeguati ed altre volte potenziano addirittura il disturbo. Si può osservare da parte del mondo adulto un’accettazione passiva della patologia, una richiesta di autonomia precoce o viceversa un’assenza di richiesta di autonomia, una adesione a modelli parentali e sociali contrastanti.
Risulta pertanto indispensabile sostenere e indirizzare con una competenza specifica i modelli di riferimento educativo nei casi di patologie neuropsichiche infantili sia a genesi organica che relazionale.
Questa necessità è universalmente riconosciuta e numerosissima è la letteratura in merito alle diverse teorie e metodologie d’intervento a sostegno della famiglia e delle istituzioni. Le impostazioni psicoanalitiche, psicodinamiche, sistemiche, comportamentali, etologiche e sociali hanno dato un importante e indispensabile contributo diagnostico e terapeutico che hanno permesso di comprendere determinati aspetti delle problematiche evolutive quali: l’importanza dell’ attaccamento nella prima fase di vita, l’interazione con i modelli genitoriali, il significato delle pulsioni biologiche primitive, il bambino sintomo di una organizzazione familiare, l’influsso diretto e indiretto di organizzazioni e condizionamenti sociali. Ciascuna di queste impostazioni ha fornito una diversa modalità di lettura e proposta terapeutica sempre più completa e raffinata, anche se a volte orientata solo secondo la propria lettura.
L’integrazione tra le diverse ottiche interpretative può invece fornire un osservatorio più allargato, attraverso il quale considerare le singole situazioni in modo da accedere a valutazioni più complete, ma soprattutto per individuare un progetto d’intervento adeguato alla problematica e alle potenzialità adattative dei genitori.
I fattori che entrano in gioco nel processo evolutivo sono numerosi, variamente associati, diversi a seconda del punto di vista dell’osservatore. Si assiste spesso ad una conflittualità tra la variabilità di risposte del bambino e la rigidità dei modelli, oppure alla variabilità dei modelli a fronte di una fissità di risposte del bambino. Frequente è l’alternarsi di due posizioni nelle diverse fasi di sviluppo, per l’intervento di nuove esperienze o per l’innesto di nuovi modelli esterni al nucleo familiare o per modifiche delle situazioni strutturali familiari o sociali.
In alcuni casi o nel susseguirsi delle diverse fasi evolutive, si verifica, nel complesso sistema bambino-ambiente, una fissità ed invariabilità che porta ad un perseverare della relazione distorta con la conseguenza di un marcato rallentamento o di uno stop evolutivo. L’articolarsi di queste variabili determina la difficoltà di comprensione delle dinamiche che spesso giocano un ruolo perverso, tale da rendere difficile l’individuazione dei punti di aggancio terapeutico per il bambino e di supporto per le figure educative.
Da quanto esposto si evidenzia la necessità di usufruire di una pluralità di conoscenze e di fattori da valutare per attuare un modello d’intervento idoneo per l’aiuto alle figure di riferimento evolutivo. I dati obiettivi e le conoscenze delle ricerche neurofisiologiche, neuropsicologiche, psicodinamiche, psicoanalitiche, sistemiche, comportamentali, etologiche e sociali apporteranno ognuno il loro contributo, non chiuse nelle loro impostazioni, ma integrate tra loro al fine di costituire un nuovo modello d’intervento bio-psico-sociale plasmabile ed adattabile alle diverse situazioni in rapporto alle potenzialità di risposte individuali e ambientali.
Bisognerà quindi valutare:
a) le correlazioni tra la tipologia biologica del bambino, i suoi orientamenti evolutivi e il valore d’incisività delle figure di riferimento;
b) le correlazioni tra gli eventi individuali, familiari e sociali nel percorso evolutivo e le eventuali modifiche comportamentali del bambino nell’ambito familiare e sociale;
c) le correlazioni tra il percorso evolutivo del bambino nel setting terapeutico e il suo comportamento nell’ambito familiare e sociale;
d) le correlazioni tra la progettualità potenziale del supporto fornito alla famiglia e la reale capacità
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di partecipazione adattativa delle figure di riferimento.
e) le potenzialità d’integrazione e armonizzazione tra l’orientamento dei modelli familiari e quello dei modelli sociali.
Proposte per il supporto alle figure di riferimento evolutivo
Possiamo identificare quattro punti essenziali:
 A chi dare il supporto
 Quando dare il supporto
 Come dare il supporto
 Adattabilità del supporto
1. A chi dare il supporto.
Nell’ambito familiare il supporto dovrebbe essere sicuramente dato ai genitori e a quelle figure parentali che incidono maggiormente come modelli evolutivi.
Sarà fondamentale per scelte, conoscere tutto il nucleo familiare ed eventuali altre persone di riferimento per il bambino (esempio: baby sitter).
Se il bambino frequenta la scuola e sono presenti disturbi del comportamento, in accordo con i genitori, bisognerà prendere in considerazione l’opportunità di una collaborazione con le insegnanti.
Nel caso di indisponibilità delle figure di riferimento ad accettare un sostegno, si potrà ripiegare verso figure sostitutive con le quali il bambino abbia instaurato una buona relazione.
La scelta di tali persone deve essere fatta non solo considerando la disponibilità a ricevere un aiuto, porre il problema non solo della disponibilità personale a ricevere l’aiuto, ma anche verificando la reale fattibilità del sostegno, che potrebbe essere limitata da orari lavorativi o da altri fattori.
Per contro altre persone sostitutive (nonni, baby sitter), pur nella loro disponibilità, potrebbero non essere accettate dal bambino oppure essere accettate ma non essere sufficientemente incisive come modelli di riferimento.
Nei casi in cui vi sia una delega parziale e giornaliera da parte dei genitori ai nonni e vi sia una conflittualità tra le due generazioni, potrà evidenziarsi la necessità di supporti separati ed eventuali incontri comuni per definire un accordo su alcuni fondamentali obiettivi.
2. Quando dare il supporto.
L’inizio del supporto alle figure di riferimento dovrà essere opportunamente preparato tramite colloqui atti ad approfondire le conoscenze sulle caratteristiche personali dei componenti il nucleo familiare, sulle relative dinamiche interpersonali, sul tipo di vissuto relativo alla patologia del bambino, sulla disponibilità dei medesimi a ricevere un aiuto.
In alcuni casi l’intervento potrà essere iniziato dopo un periodo di sensibilizzazione per acquisire una stabilità nel rapporto e una fiducia tra la famiglia e il professionista. Sarà opportuno dare la priorità a quella figura che si renderà effettivamente disponibile e successivamente allargare l’intervento anche ad altre persone.
Nei casi in cui si rendano necessari colloqui con le figure scolastiche, il supporto andrà fornito più precocemente possibile per istituire una collaborazione effettiva ed efficace.
La frequenza dei colloqui di supporto, sia per le figure parentali che per quelle sociali, verrà calibrata e adattata a seconda delle esigenze, nel rispetto degli obiettivi terapeutici.
3. Come dare il supporto.
Questo punto è sicuramente tra i più complessi, in quanto le diverse tipologie personali dei modelli educativi, l’interazione delle figure parentali e sociali, la variabilità delle situazioni, il manifestarsi di nuovi eventi, le modifiche comportamentali del bambino, creano un intrecciarsi di dinamiche che possono ulteriormente complicarsi per una conflittualità tra i genitori. Il disinteresse di un genitore, le ingerenze di altre figure parentali, i contrasti tra i modelli familiari e quelli sociali, determinando quel quadro poliedrico in cui l’orientamento del supporto dovrà essere attentamente valutato.
Alcuni punti appaiono essere particolarmente importanti:
 L’accettazione e il contenimento del disagio e della sofferenza delle figure genitoriali.
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 Il supporto psicologico alla coppia genitoriale, eventualmente differenziato per ciascun individuo a seconda del bisogno.
 La necessità di fornire consigli e consegne atte a superare le difficoltà di rapporti e la possibilità di fornire stimoli che possano una progressione cognitiva e sociale.
 L’aiuto a riorganizzare la vita del nucleo famigliare per limitare le dinamiche disturbanti e favorire un miglioramento dei rapporti dove necessario.
 La variabilità degli obiettivi del supporto in rapporto alla progressione terapeutica del bambino.
 L’obiettivo d’integrazione e di armonizzazione tra i modelli parentali e sociali.
Sensibilizzare i genitori rispetto alla necessità di un sostegno, fornire la disponibilità ad accogliere il disagio dell’adulto saranno elementi che costituiranno il cardine della relazione.
Nelle gravi patologie organiche i genitori devono confrontarsi con la realtà della situazione legata alla malattia, a volte comunicata in modo sbrigativo e tecnico, deludente rispetto alle aspettative del genitore.
Il mancato accoglimento della sofferenza e dell’angoscia di un futuro non definito per il proprio bambino o non definibile, frequentemente induce alla ricerca di altri specialisti nella speranza di ottenere rassicurazioni, avere una prospettiva di guarigione o di miglioramento
Nelle forme a genesi relazionale o nelle problematiche relazionali innestate su patologie organiche, il problema dell’accettazione della malattia diventa ancora più complesso, in quanto i genitori consegnano al medico o allo psicologo il bambino problematico richiedendone la cura e spesso negandosi come elementi che sono coinvolti nelle dinamiche relazionali, delegando in toto il problema al servizio sanitario.
In questi casi sarà importante accogliere la consegna del bambino problematico, rendersi disponibili ad ascoltare le loro preoccupazioni e progressivamente motivarli ed aiutarli ad intraprendere un nuovo percorso. L’evidenziazione precoce delle dinamiche che hanno determinato e che mantengono una relazione inadeguata, provocherebbe con facilità l’abbandono della consultazione.
Nel caso si venga a conoscenza di altre consultazioni effettuate dai genitori con altri servizi o specialisti si dovrà valutare l’effetto di questi agiti sulla sostanza e validità del rapporto di supporto.
Diversa è la situazione se le figure parentali si richiedono un’altra consultazione perché non si è creato un rapporto di fiducia e collaborazione.
Nel supporto alla coppia genitoriale particolare attenzione andrà posta alle caratteristiche psicologiche dei due componenti, per impostare un rapporto di aiuto adeguato e individualizzato. Interventi di rassicurazione, di stimolo e di rinforzo, saranno messi in atto a seconda del bisogno e diversificati a seconda delle persone.
Nelle dinamiche di coppia sarà necessario porsi al disopra delle parti, evitando alleanze e cercando di mediare gli eventuali conflitti. In alcuni casi possono essere utili alcuni colloqui col singolo genitore per permettere verbalizzazioni relative al proprio vissuto.
Anche colloqui con altre figure, parentali e non, rappresentanti modelli evolutivi stabili o saltuari, saranno da valutare e perseguire a seconda delle necessità.
Nel contempo sarà indispensabile non trascurare le reali potenzialità del bambino, il rapporto che i genitori instaurano con lui; le difficoltà dei genitori ad orientarsi su cosa fare per il loro bambino, costituiscono elemento sempre presente e motivo di richieste e chiarimenti.
4. Adattabilità del supporto.
É indispensabile che il bambino, pur nei suoi limiti, proceda nell’evoluzione, pertanto le figure di riferimento dovranno essere aiutate a favorire lo sviluppo del figlio tramite consegne e consigli che verranno oculatamente distribuite sia in rapporto alla progressione terapeutica del bambino, sia in rapporto alle capacità dei modelli di recepire e di favorire nuove acquisizioni e nuovi percorsi.
Durante il processo terapeutico le modifiche comportamentali del bambino indurranno nell’ambiente familiare e sociale risposte a volte adeguate ed a volte in contrapposizione; inoltre eventi esterni e/o interni al nucleo familiare potranno modificare l’assetto strutturale e le relazioni del nucleo.
Tali modifiche imporranno la revisione e l’adattamento degli obiettivi del sostegno per
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adeguarsi alla nuova situazione. L’operatore dovrà tempestivamente sensibilizzarsi, armonizzandosi con plasticità alle nuove esigenze sia interne che esterne al nucleo familiare.
Oltre alle figure parentali, dovranno essere prese in considerazione per un aiuto-collaborazione anche quelle, non certo meno importanti, dell’ambito sociale (educatori, insegnanti) con funzione non solo legata all’apprendimento, ma anche legata a favorire le autonomie l’integrazione al sociale.
Non di rado si assiste ad atteggiamenti di contrasto tra scuola e famiglia; tale conflittualità provoca un rinforzo delle manifestazioni disturbanti del bambino e in alcuni casi un gioco perverso di dinamiche con reciproca accusa sulle responsabilità.
In tali situazioni l’intervento più vantaggioso può essere rappresentato da prudente e parziale duplice alleanza, separatamente gestita con la famiglia e la scuola, necessaria a non irrigidire le reciproche posizioni e, nel contempo, a valutare i valori positivi delle due controparti, aiutandole a indirizzarsi verso un comune obiettivo.
Regolamentazioni e limiti del sostegno
Si ritiene fondamentale che ogni supporto venga orientato e definito con obiettivi, modalità di conduzione e rapporti con altre figure coinvolte.
In particolare:
a) specificare che i colloqui avranno come obiettivo principale la reciproca collaborazione per fornire il migliore intervento al bambino;
b) chiarire che il punto di riferimento per qualsiasi comunicazione o richiesta da parte della famiglia in merito alla terapia del bambino o agli eventi esterni sarà rappresentato dal conduttore del supporto (normalmente identificabile nella figura professionale responsabile del caso);
c) stabilire la frequenza dei colloqui, che potrà essere variata con accordo tra le parti a seconda delle necessità emergenti.
Un momento particolarmente importante e delicato sarà la definizione del rapporto con il terapeuta o terapista del bambino, dato che normalmente la maggior parte dei genitori vorrebbero avere informazioni dirette sullo sviluppo delle sedute.
Personalmente ritengo che questi improvvisati e non regolamentati colloqui col terapeuta possano essere confusivi e fuorvianti.
I genitori tendono a interpretare ciò che viene loro comunicato, ad esigere spiegazioni sulla progressione terapeutica, a riportare problemi di vita quotidiana sollecitandone la risoluzione, immediata, pertanto, richiedendo di fatto un sostegno anche al terapeuta.
Questo potrebbe portare ad utilizzare in modo fuorviante le informazioni che potrebbero ricevere dai diversi operatori ed utilizzarle in lodo controproducente o essere usate per valutare le capacità e l’accordo tra i componenti del servizio.
Nell’attivare un sostegno si devono anche prendere in considerazione alcune limitazioni, sia nel fornire il supporto alle figure parentali, sia nella sua prosecuzione; esse sono:
a) reale e amovibile disinteresse agli incontri, nonostante prolungati tentativi di sensibilizzazione;
b) frequenza eccessivamente saltuaria degli incontri, tale da vanificare gli obiettivi preposti;
c) gravi patologie psichiatriche tali da non permettere un pur minimo rapporto di collaborazione e di aiuto;
d) falsi, improduttivi e immodificabili atteggiamenti di condivisione degli obiettivi per compiacere o per mascherare un reale rifiuto.
Considerazioni conclusive
Da quanto esposto si può comprender che l’operatore che fornisce il sostegno alle figure di riferimento evolutivo deve possedere una formazione complessa relativa alle diverse tipologie della personalità e dei relativi comportamenti, alle dinamiche di coppia, alle conoscenze pedagogiche e psicopedagogiche, alla buona conoscenza dell’evoluzione del bambino nella sua pluralità espressiva, alle diverse patologie neuropsichiche infantili, alle teorie e basi psicoterapeutiche. Tutte queste competenze sono di difficile riscontro in un’unica persona, pertanto risulta spesso necessario un confronto periodico professionale esterno.
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Riguardo all’intervento di supporto e a quello della terapia al bambino è essenziale che i due operatori siano individuati in due figure diverse con specifica formazione in rapporto al tipo d’intervento e tali da non entrare in conflitto tra loro nei confronti dei genitori o insegnanti. Il setting terapeutico del bambino deve essere mantenuto nella sua individualità e necessità espressiva e nel rispetto del rapporto terapeuta-bambino privo di invasioni esterne. I due operatori avranno necessità di incontrarsi periodicamente per mantenere obiettivi comuni raccordati alla realtà esterna. Il professionista del supporto ai modelli educativi e alla collaborazione con le figure sociali sia uno psicologo o neuropsichiatra infantile o un medico formato per tale funzione.
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Questo tipo d’impostazione che coinvolgere tutti gli ambiti di vita del bambino è sicuramente quella che permette di ottenete una evoluzione più adeguata alle potenzialità del bambino e a quelle dell’ambiente; impostazione che dovrebbe far parte della cultura di tutti gli operatori dell’infanzia per evitare che il bambino diventi solo un sintomo di un problema in realtà più vasto e complesso.
Nei primi anni di vita e non solo, frequenti disturbi evolutivi possono essere affrontati con ottimi risultati solo con il sostegno alle figure di riferimento evolutivo, con cadenza mensile e senza intervento diretto con il bambino. Frequentemente, se effettuato in tempi utili e con genitori disponibili, il sostegno parentale permette la realizzazione di importanti miglioramenti. Infatti è nel nucleo familiare che il bambino sperimenta le esperienze più significative per la struttura della personalità.
Nei disturbi relazionali che nella nostra società raggiungono percentuali sempre più alte2 e che determinano più facilmente la strutturazione successiva di personalità patologiche (come dalle ricerche di numerosi autori tra i quali: Bagliolo, Boggi, Bowlby, Caprara, Cramer, Cusinato, Di Cagno, Duse, Fava Viziello, Fazzi, Fonzi, Greenspan, Levi, Lebovici, Palacio Espasa, Rebecca, Russo, Spiegel, Stern, Tessarolo, Tribulato, Zampino e tanti altri) l’intervento precoce di sostegno alle figure di riferimento evolutivo dovrebbe essere la scelta prioritaria. Spesso accade che i caregivers consegnino il bambino al terapeuta con aspettativa magica di guarigione. Il bambino fa parte di un sistema che se non si modifica non permette una valida evoluzione del bambino.
Troppo spesso si pensa subito alla terapia individuale, all’insegnante di sostegno, all’educatore personalizzato, al DSA e poco alle cause o con-cause che hanno determinato o potenziato il disturbo. Il nucleo famigliare che è il luogo dove nasce e si struttura la problematica, quasi sempre viene non considerato come luogo dove è possibile e necessario fornire un intervento.
Nelle patologie che richiedono di fatto un intervento individuale con il bambino, a maggior ragione dovrebbe essere sempre associato il sostegno alle figure genitori e intrapresa la collaborazione con le figure scolastiche.
Purtroppo nella nostra società gli interventi per la prevenzione di disturbi relazionali non vengono sufficientemente presi in considerazione. La corretta educazione sociale nel rispetto della comunità e del singolo, il rispetto delle regole, la collaborazione, la partecipazione attiva nell’impegno familiare e sociale è sottovaluta (Tribulato).
Gli studi e le metodologie sostenute da numerosi ricercatori rendono doveroso un nuovo investimento nella cura del bambino affetto da problematiche neuropsicologiche, con progettualità che colmino l’assenza o la sporadicità di interventi sulla famiglia e sulla società. È auspicabile che vengano attivati dei programmi almeno decennali per favorire nella società un rispetto della persona, della salute psichica e delle regole sociali nelle quali la persona vive e sii confronta.

Russo Roberto Carlo
Russo Roberto Carlohttps://www.csppni.it
Roberto Carlo Russo Roberto Carlo Russo, pediatra e neuropsichiatra infantile, ha fondato nel 1972 la prima Scuola Italiana di Psicomotricità. Autore 112 pubblicazioni, 10 libri e 12 test evolutivi innovativi, ha condotto specifiche ricerche sull'evoluzione normale e patologica del bambino, sugli effetti dei modelli evolutivi, sull'organizzazione della personalità del bambino e delle sue variabili, sulle modalità d'intervento psicomotorio e psicoterapico nell'infanzia, sulle modalità di aiuto educativo e di supporto terapeutico alle figure di riferimento evolutivo. Da sempre sostiene la necessità di affrontate le problematiche infantili in un’ottica di globalità che contempli le complesse interrelazioni tra l’individuo e l’ambiente.
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