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Essere nel gruppo

Il gruppo terapeutico diventa il luogo dove riscrivere l’esperienza e a volte rischiarla, re-inventare, creare, un laboratorio sociale dove sperimentarsi in nuovi ruoli, confermarli o nel caso“cadere sul morbido”, rialzarsi per riprovare ancora.

Prendersi cura di un individuo e di un gruppo è riconoscerne la complessità, intesa nel senso di ciò che le persone sono state nel passato, sono nel presente e possono essere nel futuro.

Riconoscere la complessità  fa pensare in questo caso non a un’incomprensibile e caotico rebus da sciogliere, ma ad una complessità che regala all’individuo la possibilità di essere, di diventare, di trasformarsi, di evolvere, ma ancor prima di esistere; si tratta di processi e condizioni realizzabili attraverso la storia partecipata e condivisa del gruppo, qualunque esso sia, a partire dal piccolo gruppo terapeutico fino ad arrivare a quello più ampio del genere umano.

È nel gruppo che è possibile essere riconosciuti come Persone e diventare Persona è possibile solo nel gruppo stesso, qualunque esso sia, luogo in cui si scrive l’esperienza traumatica o benefica, trasformativa o riparatoria.

Difficile diventare Persona restando in una dimensione di dualità, è infatti già dalle prime fasi evolutive che diventa necessario il ruolo di un terzo, il padre, nella relazione fra mamma e bambino; impossibile diventare persona nella sola e unica dimensione individuale.

Essere persona è possibile solo in relazione e nella tensione verso l’altro o meglio gli altri, che insieme a noi costruiscono l’esperienza sempre caratterizzata dalla propria soggettività, nella tensione verso gli altri nascono le relazioni, dalle relazioni nascono le esperienze e in quella stessa tensione verso gli altri si rintraccia la possibilità di trasformare le esperienze traumatiche e crearne di nuove.

L’inesplorato di ogni individuo apre lo spazio ad infinite possibilità che comprendono anche la possibilità di “lasciare andare”, di dimenticare, di lasciare cadere nell’oblio quello che nel gruppo è stato pensato, verbalizzato, metabolizzato e che non serve più.

L’inesplorato diventa il campo dove inoltrarsi e cercare nuove forme di sé, nuove risposte, scoprire consapevolezze già presenti nel profondo, come in un gioco di squadra dove gli indizi vengono valutati insieme e il traguardo di uno è il traguardo di tutti.

Il gruppo terapeutico diventa il luogo dove riscrivere l’esperienza e a volte rischiarla, re-inventare, creare, un laboratorio sociale dove sperimentarsi in nuovi ruoli, confermarli o nel caso“cadere sul morbido”, rialzarsi per riprovare ancora.

Un luogo dove chiedere ospitalità alle menti altrui per collocare aspetti di sé difficili da mettere in luce nella propria dimensione individuale, l’elaborazione del dolore è un’elaborazione condivisa, una condivisione che non cancella il senso di solitudine dell’aver vissuto quell’esperienza ma sottolinea la possibilità di riparare e trasformare insieme, insieme nel senso del tenersi insieme e insieme nel senso del gruppo.

Ogni gruppo ha una sua storia unica e irripetibile, nel gruppo terapeutico quell’unicità è forse generata dal tipo di scambio che avviene, straordinariamente diverso da quello esperito nella quotidianità, uno scambio di mondi interni profondo, reale e onirico.

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Uno scambio a più voci, dove i punti di vista e i vertici di osservazione si moltiplicano innumerevoli volte dando spazio a una vastità di scelte dove decidere chi e come si vuole essere, modi nuovi e inconsueti per sperimentare se stessi; cambiano i livelli di realtà e cambiano gli stati di coscienza, si viaggia attraverso il passato per arrivare al presente e andare verso il futuro.

Il viaggio del gruppo è un’avventura a volte imprevedibile, tra le tappe previste ci sono i sogni, si viaggia nei sogni degli altri e parte di quei sogni possono diventare anche i propri sogni, si costruiscono e si viaggia dentro a sogni collettivi.

Il sogno diventa quindi indicatore individuale e collettivo di strade da percorrere, di cose da dire o doni da donare, indicatore di risposte e soluzioni.

Pensare al sogno come produzione psichica “risolutiva” avvicina all’idea che “la risoluzione”sia già di per sé dentro l’individuo e nel suo naturale funzionamento.

L’essere umano assume così una concezione per sua natura “funzionale e sana” in contrapposizione all’aspetto psicopatologico; la spinta alla funzionalità, alla creatività, al benessere, all’esplorazione, al pensare l’impensabile sembra che diventi attraverso il sogno una via risolutiva naturale per i dolori dell’anima.

Lo psicodramma insegna, così come altri metodi psicoterapeutici, che è il gruppo l’elemento attivatore di quella spinta naturale alla risoluzione, il gruppo come testimone, contenitore, accompagnatore o individuatore di passaggi che l’individuo stesso in solitudine non potrebbe compiere.

Nella scena psicodrammatica così come nella scena onirica, e ancor di più nella scena onirica realizzata nel teatro dello psicodramma, è possibile accedere a dimensioni altre, oltre la coscienza e le relative difese, dimensioni diverse, nuove, dove la novità inizia con la messa in scena del sogno e si potenzia nella possibilità  di “deciderne” la sua conclusione, una plus realtà o una realtà del desiderio,  come direbbero gli psicodrammatisti, che apre le porte alla trasformazione.

Ecco che allora il “desiderio” può diventare realtà, lo diventa già nel momento stesso in cui il desiderio può esprimersi, lo diventa a tutti gli effetti nel  trasferimento dei cambiamenti dal teatro (o dal setting) alla vita quotidiana.

Il desiderio che diventa realtà nel trattamento psicoterapeutico ri-conferma quella posizione dell’essere umano come essere dotato a livello intrinseco di una spinta verso “la funzionalità” e “il benessere dell’anima”.

Laddove non è stato possibile vivere una madre sufficientemente buona la psicoterapia di gruppo oggi risponde con un gruppo sufficientemente buono come elemento riparatore, non un surrogato e nemmeno un sostituto, metaforicamente si potrebbe immaginare una montagna al fianco di uno spazio vuoto, il gruppo quindi come buona esperienza reale del presente che spinge verso la ricerca di un futuro adattivo.

“Esserci” è il termine che fa pensare a una medicina naturale, esserci in modo olistico e autentico con un conduttore attento e partecipe che stimoli questa naturalezza, una costante da cui deriva la caduta delle maschere e lo scambio fra le parti, permettendo originalità e interrompendo la coazione a ripetere.

Murrighili Barbara
Murrighili Barbara
Psicologa clinica e psicodrammatista, inizia le sue prime collaborazioni professionali in ambito sociale nel 2000. Sviluppa una particolare attenzione e preparazione sulle tematiche inerenti la tossicodipendenza e la dipendenza in genere, l’adolescenza e la preadolescenza, il disagio giovanile, la disabilità, problematiche legate alla coppia e alla famiglia, problematiche legate a gravi condizioni di disagio e isolamento sociale. Attualmente conduce percorsi di gruppo con lo Psicodramma, collabora con diverse realtà del terzo settore e svolge attività clinica privata.
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